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Il futuro al centro della politica

Ottobre 2022

La campagna elettorale per le elezioni politiche dello scorso 25 settembre si è caratterizzata per la mancanza di uno sguardo al futuro, alle nuove generazioni ed ai problemi che dovranno affrontare: tranne qualche lodevole eccezione non si è parlato di denatalità, dell’aumento del disagio sociale e delle disuguaglianze, di educazione e di formazione, del lavoro precario dei giovani, di diritti collettivi e non solo individuali, dell’accoglienza e dell’integrazione dei migranti. Una politica tutta giocata sul “presente”, sull’immediato, e senza una capacità di proporre una strategia di sviluppo sociale ed economico che coniughi le gravi emergenze ambientali.

Non deve quindi meravigliare che, come sostenuto da Nando Pagnoncelli su Avvenire del 27 settembre scorso, “…non crediamo più in qualcosa né in qualcuno che trascenda l’immediato bisogno personale e alla politica chiediamo di rispondere a quel bisogno…”.  Altro che pensare al bene comune. Ci ritroviamo sempre più schiacciati sulla dimensione individuale e perennemente insoddisfatti delle risposte politiche.

È indubbio che il centro-destra ha saputo interpretare il “presente” e la “pancia” delle persone. Ed ha vinto pur non essendo maggioranza nel Paese. Comunque una vittoria netta, persino annunciata. Il centro-destra, diviso quasi su tutto, ha saputo unire le forze mentre le cosiddette “forze progressiste” hanno confermato le loro divisioni, si sono combattute fra di loro ed hanno perso. Anche il sistema elettorale ha fatto la sua parte: il “Rosatellum” ha spinto all’astensione costringendo i cittadini a mettere solo una crocetta sulla scheda elettorale senza poter scegliere il nome degli eletti. Secondo uno studio dell’Istituto Cattaneo, una coalizione di centro-sinistra e M5S alle elezioni avrebbe conquistato il 50% dei collegi uninominali invece del misero 16% ottenuto dalle due formazioni che hanno corso separate. Se poi si fossero uniti anche i centristi di Azione-Iv  l’alleanza avrebbe conquistato il 63% dei seggi uninominali. Qualcuno dirà che è fantapolitica, tuttavia sono dati che fanno riflettere.

E poi i giovani: il tasso di voto dei giovani under 35 è stato più alto degli over 50. L’astensione under 35 è stata del 34% mentre quella degli over 50 è stato del 37,8%. Nella fascia invece 18/24 anni l’astensione risulta più alta al 39,8%. Se avessero votato solo i giovani il M5S sarebbe il primo partito seguito da FdI e dal PD. Il dato sociale rilevante è che il voto laddove vi è il più alto numero di disoccupati è più cospicuo per il M5S e per Forza Italia, mentre nei luoghi ove vi è il maggior numero di laureati aumenta il voto al PD e cala quello a FdI. Un dato anche questo che deve far riflettere.

C’è uno scollamento sempre più grande tra la percezione delle persone che si trovano in grande difficoltà e le risposte alle loro aspettative, in termini di rivendicazione di un benessere sociale ed economico, che sfocia quindi spesso in rabbia e risentimento. É urgente quindi un ripensamento profondo sia dei modi di fare politica (superare i “circoli elitari”, parlare alla gente e rispondere alle loro aspirazioni), sia nei contenuti (parlare del futuro). Vi è una grande inquietudine che percorre la società italiana; veniamo da anni di crisi economica, il Covid, poi la guerra e le sue conseguenze. Si è diffusa l’ansia e la paura, e si cercano rassicurazioni:   se non si ricevono subito dalla forza politica a  cui ci si è rivolti, ci si sposta su un altro partito e così via. Da questo la volatilità del voto.

Per ripartire a fare “politica del futuro” è necessaria la definizione di una nuova identità e la promozione di una nuova classe dirigente, anche sul territorio, laddove è spesso autoreferenziale ed irriconoscibile allo sguardo dei giovani ed alle istanze del mondo del lavoro e della povera gente. Una politica che parta dalla società, dai mondi vitali con una rinnovata partecipazione, plurale e diffusa che coinvolga i giovani, il mondo del sociale e del terzo settore. Per quanto ci riguarda decenni di desertificazione del tessuto dell’associazionismo laicale cattolico e di sua improvvida sostituzione con le “pastorali” (strutturalmente “clericali”), hanno estirpato le radici che avevano formato generazioni di cattolici alle forme proprie ed alla responsabilità della politica.

Anche per noi, sia come persone che come organizzazione, appare indispensabile un serio ripensamento.

Franco Fragolino, già Presidente Provinciale delle ACLI di Como