Alcuni pensieri sulla pandemia
Marzo 2020
Un evento imprevedibile e mai prima verificatosi nella storia, la pandemia causata dal corona virus, ha interrotto le dinamiche sociali e culturali tipiche della cultura dominante.
Il benessere economico connesso con la dinamica circolare lavoro-guadagno-consumo e lo strapotere della finanza internazionale condizionante la politica, hanno generato il cosiddetto consumismo per il quale l’uomo-cittadino è diventato l’uomo-consumatore.
Il consumatore ha compromesso l’orientamento della persona-cittadino al bene personale connesso con il bene comune. Il prevalere dell’interesse individuale ha portato al diffondersi di una cultura e di una prassi sociale individualistica.
Si è così interrotto il legame virtuoso tra individuo-persona-cittadino-bene comune per una quantità rilevante di individui preoccupati del proprio benessere disancorato dal bene comune. Nella mente individuale, desideri, prospettive, progetti, investimenti sono prevalentemente orientati alla propria realizzazione in assenza di un legame solidale con gli altri individui che vengono, di conseguenza, concepiti come un limite e non come una opportunità. Hanno così preso rilevanza mentalità e comportamenti razzisti contro chi viene concepito come una minaccia ai propri interessi e alla propria cultura.
Le società in genere si trovano attraversate da una contrapposizione tra strati sociali mossi dallo scopo di difendere i propri interessi economici e orientamenti valoriali ed altri che aderiscono ad ideali di solidarietà e di bene comune.
L’affermarsi dell’individualismo sul piano culturale ha favorito la rottura del legame virtuoso, già precario, dei cittadini e dei popoli tra di loro per il riemergere del razzismo e dei nazionalismi caratterizzati dai sovranismi che antepongono gli interessi nazionali agli orientamenti comunitari sia per quanto riguarda l’Europa sia la geopolitica.
Il diffondersi del virus in tutto il pianeta, l’impotenza dell’uomo e della scienza a combatterlo in tempi brevi, hanno posto l’uomo, ogni uomo senza differenze di ceto, di nazionalità, di razza, di fronte ad un contagio fuori controllo con esiti spesso mortali.
La pandemia ha innescato una sorta di paradosso. Ha costretto le persone a stare in casa. I rapporti interpersonali e gruppali si sono drasticamente interrotti con la cessazione di tutte le attività lavorative, ricreative e sportive, eccetto quelle di prima necessità. L’impossibilità di poter avere sotto controllo l’evento contagio ha generato insicurezza, paura, ansia, angoscia soprattutto nelle persone sole, anziane, insicure. La invasività del contagio ha indotto un senso di pericolo comune, un trovarsi tutti nella stessa situazione e messi in diretto rapporto con la possibilità incontrollabile della malattia e della morte.
E tuttavia, la rottura di tutti i legami abituali ha generato un nuovo legame caratterizzato dalla condivisione della stessa paura e delle stesse soluzioni di difesa. I dati statistici sui contagi e sulle morti hanno improvvisamente posto in secondo piano, come irrilevanti, fattori superficiali del vivere quotidiano di fronte alla realtà della malattia e della morte in agguato per le singole persone e per i propri cari. La costrizione a stare in casa è divenuta una opportunità di stare insieme senza fretta e senza affanni. Si è potuto osservare un senso di appartenenza tra le persone derivante dalla consapevolezza di essere nella stessa condizione, di dover subire le stesse limitazioni, gli stessi danni economici, la stessa insicurezza e paura della malattia e della morte.
Il comune pericolo ha innescato una reazione prevalentemente virtuosa soprattutto in Italia. Le soluzioni protettive messe in atto hanno indotto le persone a proteggere se stesse, ma al contempo a non essere di danno agli altri con l’attivazione di adeguati comportamenti come la distanza reciproca, le mascherine, il non uscire di casa.
Il clima solidale tra le persone, l’assunzione di responsabilità nei confronti degli altri, il senso di appartenenza si è manifestato con iniziative di comunicazione reciproca tramite i social e con iniziative di quartiere come canti, musiche che richiamano alla comune appartenenza con l’inno di Mameli e canzoni popolari tipiche del luogo e della nazione. I telefonini si sono riempiti di vignette e di video sia di tipo comico esorcizzanti l’incombenza della malattia e della morte, sia di espressione, recupero e testimonianza di sensibilità profonde del pensiero, della musica, dell’arte, della natura, della bellezza nelle sue diverse manifestazioni.
Bisogna, tuttavia, anche riconoscere che il senso di appartenenza e l’affermarsi di un senso di identità nazionale nel sentirsi solidariamente legati in quanto italiani nell’affrontare l’emergenza corona virus ha veicolato il manifestarsi dei sentimenti nazionalistici con l’esaltazione dell’Italianità come popolo e cultura superiori in contrapposizione con gli altri popoli giudicati inferiori e debitori nei confronti dell’Italia.
Di fronte all’imporsi del pericolo, del rischio della malattia e della morte, della necessità di ricoveri e di cure hanno preso visibilità la generosità e l’abnegazione del personale medico, paramedico e del volontariato che stanno pagando un prezzo molto alto tra contagiati e deceduti.
Anche rispetto alla temporalità, il corona virus ha comportato una rilevante rottura dei ritmi abituali. L’interruzione delle normali attività ha rallentato i tempi del vivere, dell’agire e delle relazioni interpersonali.
Al contempo, sul piano della ricerca scientifica per individuare e debellare il virus e sul piano medico e delle strutture sanitarie per apprestare le opportune cure, è stata necessaria una accelerazione di ogni tempistica nel tentativo di curare in tempo reale la quantità imprevista e in accrescimento dei malati e di prevenire l’ulteriore dilagarsi della patologia.
Sul piano politico e della sensibilità generale il valore della persona e della singola persona si è imposto sull’interesse economico. Le strategie di difesa e di reazione al dilagare del virus hanno posto in Italia al primo posto la salvaguardia della persona al costo altissimo delle conseguenze economiche. E poiché il virus si è diffuso su tutto il pianeta, si è nel contempo generata una collaborazione tra tutti gli stati nella ricerca scientifica per la comprensione del fenomeno e per le strategie di difesa.
In questo contesto si è potuto osservare una diversa sensibilità e impostazione culturale e valoriale tra i paesi latini come in primis l’Italia e i paesi anglosassoni.
La politica Italiana, come si è sopra detto, ha orientato interventi e soluzioni prima di tutto a tutela delle persone. La politica dei paesi anglosassoni, soprattutto Inghilterra e Stati Uniti, ha invece messo al primo posto gli equilibri economici, interpretando la pandemia come un fenomeno inevitabile rispetto al quale si doveva mettere in conto una naturale perdita di vite umane.
Sarà interessante anche osservare i cambiamenti drastici nella vita sociale per quanto riguarda il lavoro, i servizi pubblici, il volontariato e l’associazionismo come quello tradizionalmente espresso dalle ACLI.
A fronte di un disorientamento iniziale si è alla ricerca ed attivazione di soluzioni alternative per riorganizzare con modalità e strumentazioni diverse, telematiche, per quanto possibile le attività.
Le dinamiche abituali sul piano organizzativo, comunicativo, delle relazioni di ruolo sono state interrotte non solo per gli aspetti virtuosi. Inevitabilmente nelle organizzazioni sono presenti anche componenti negative derivanti dall’abitudine, dalle inevitabili semplificazioni ed inerzie, dalle conflittualità implicite e dichiarate fonte di dispersione e di malessere.
La forzata riorganizzazione, pur con limiti imprescindibili, può favorire una nuova visione delle priorità, la scoperta di risorse personali e interpersonali prima ignorate o non valorizzate, l’attivazione di procedure tempisticamente più veloci e efficaci.
Giuliano Arrigoni, psicologo, già consigliere provinciale ACLI COMO
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