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Dignità e lavoro: vie per la speranza

Ottobre 2022

Questo è il titolo del 54° incontro nazionale di studi svoltosi ad Assisi dal 29 settembre al 1 ottobre 2022, al quale hanno partecipato tre aclisti comaschi. Interrogarsi sulla dignità nella nostra cultura, sui valori da opporre alla sfida lanciata dal processo di disumanizzazione, su ciò che definisce la civiltà anche nel mondo del lavoro, è una delle questioni fondamentali del nostro tempo.

L’intervallarsi delle relazioni, delle testimonianze, delle esperienze nei lavori di gruppo, nonché dei momenti di preghiera riservati, hanno contribuito ad arricchire queste giornate, dando un senso e una declinazione alle parole che le hanno attraversate: vergogna, rispetto, dignità, speranza, lavoro

Dignità.  E’ indissolubilmente legata alla natura umana, al carattere unico e irripetibile di ciascun individuo: nessuno se la dà, ma viene riconosciuta o negata.  È una qualità che spetta ad ogni essere vivente per il solo fatto di esistere, un tratto individuale/personale, ma anche relazionale. Ciascuno di noi è uguale a tutte le altre persone e ha il medesimo diritto alla dignità, ma anche i medesimi doveri verso la dignità altrui. I grandi problemi dell’umanità sorgono quando l’attribuzione di dignità non si realizza nella concretezza dei reciproci rapporti. Nonostante questo progressivo svilimento, la dignità resta una precondizione fondamentale affinché l’individuo possa realizzare pienamente sé stesso, ma anche per convivere con gli altri e contribuire al benessere generale.

Vergogna. È un’emozione complessa, personale, relazionale e sociale. Provare vergogna è la prima condizione per opporsi a tutto ciò che mina la dignità della persona umana. È intimamente connessa alla dignità personale quando, esposti allo sguardo degli altri, sentiamo la consapevolezza di aver agito in modo censurabile. Nel nostro intimo sappiamo di aver messo a rischio la nostra stessa dignità: per questo ci sentiamo incapaci e inadeguati e temiamo di non aver più diritto allo sguardo accogliente dell’altro.  La vergogna elimina il senso di superiorità, riduce le distanze, predispone all’empatia, ci aiuta a recuperare l’umanità che condividiamo con gli altri.

La vergogna è indignazione e motore che spinge l’essere umano a contrastare le forme di ingiustizia. Senza la considerazione carica di vergogna che una situazione non rispetta la comune dignità della vita umana, non c’è spinta al cambiamento, non c’è rimozione dell’ingiustizia. Nel mondo la dignità è spesso ferita e bisogna essere capaci di provare vergogna per attivarsi e opporsi alle derive che minano l’integrità della persona umana. La vergogna non è lo sdegno ipocrita che lascia tutto così com’è, bensì la determinazione operosa a mettere in campo tutto quanto è necessario e possibile per mutare una situazione indecente.

Lavoro. Nel mondo del lavoro i termini di dignità e vergogna trovano un banco di prova immediato e diretto, contribuendo a definire la cifra della civiltà che abbiamo costruito. Che vuol dire dignità in un mondo del lavoro ormai votato alla frammentazione e alla precarietà? In cui le innovazioni tecnologiche degli ultimi decenni rischiano di generare un sistema oligarchico e disumanizzante, in cui immensi profitti vengono realizzati grazie ai dati che si ottengono osservando le nostre vite? Decenni di flessibilizzazione del mercato del lavoro hanno reso ordinario uno scenario di crescente sfruttamento prima impensabile, dove emerge sempre la sostanziale tenuta valoriale rispetto alla domanda di dignità del lavoro. Una domanda che attende risposte sulla tutela di un contraente sempre più indebolito dalla precarietà. E che implica una riflessione sul senso profondo del lavoro.  Una domanda di senso che oggi è più che mai rilevante sia per la singola persona, come mezzo dignitoso di sostentamento, sia come senso per la collettività in vista del bene comune. Nel lavoro si traduce fattivamente il legame di solidarietà con gli altri, perché chi lavora non lo fa mai solo per sé. Diversamente non sono solo le persone che entrano in crisi, ma l’intero sistema democratico, perché non si sente più di appartenere alla medesima comunità di destino.

Speranza. Nel contesto attuale, ci sentiamo spesso impauriti, impotenti, rabbiosi, e non vediamo che l’unica via d’uscita è rappresentata dal “costruire speranza”, che consiste nello sviluppare e condividere progetti densi di utopie concrete e di slancio costruttivo. La speranza, come ha insegnato il Cardinale Carlo Maria Martini, è tensione verso il futuro, fatta di attesa, di pazienza e di perseveranza. La speranza nasce e cresce in compagnia: si sviluppa nella relazione con gli altri. La qualità della nostra esistenza consiste nella qualità dei rapporti che costruiamo. La speranza custodisce la dignità e accompagna la vergogna, la dirige, la ispira; è la visione del futuro possibile, l’ottimismo che guida verso il raggiungimento dell’obiettivo, anche quando il contorno non è incoraggiante. Mira ad un futuro degno per ognuno di noi, per le nostre famiglie e per le nostre comunità. La speranza esprime una volontà, qualcosa di desiderato, un cambiamento per cui si agisce. È una direzione scelta, un processo attivato intenzionalmente. Chi vive concretamente un ideale di società più giusta, chi ricerca il bene comune, chi testimonia l’onestà, chi pratica la generosità verso gli altri è mosso dalla speranza. Senza la dimensione della speranza la critica e la protesta rimangono lamentela e non producono cambiamenti, non sostengono la creatività individuale e collettiva nell’individuare soluzioni possibili.

Il contrario della speranza è la rassegnazione, l’arrendevolezza rispetto ad uno stato di cose che appare difficile, se non impossibile modificare. La rassegnazione è pericolosa perché può diventare con relativa rapidità disaffezione nei confronti della politica, chiusura e ripiegamento individualista, esaurimento delle energie sociali. Come diceva Don Puglisi, ciascuno di noi è costruttore di un mondo nuovo. Per realizzarlo bisogna, però, proiettarsi nel futuro con fiducia, elaborare visioni di lungo respiro e ampio raggio, condividere con gli altri il progetto di avvenire da costruire insieme. Solo una visione ideale e spirituale dà la forza di sperare e lo slancio verso il domani. La Pira ricordava che – senza bisogno di scomodare altro – il lavoro è sacro secondo il Vangelo.  È dalla prospettiva del Vangelo che come Associazione Cristiana di Lavoratori guardiamo ai problemi sociali di oggi, alle vittime della cultura dello scarto e di un’economia che uccide, ai giovani abbandonati alla precarietà, agli anziani trattenuti troppo a lungo al lavoro per pagarsi una pensione spesso non dignitosa, ai migranti che rischiano la vita per trovare un luogo in cui costruire un avvenire per sé e le proprie famiglie che faticano a trovare.

L’affermazione della speranza e della dignità nella società e nel lavoro è un compito che investe tutti, e che getta le fondamenta per un futuro di pace e di autentico sviluppo umano.  Ed è con questa convinzione e con questo spirito di comunanza, che vogliamo lanciarci nel futuro facendo progetti di vita, con lo guardo fiducioso sempre proiettato in avanti.

Marina Consonno, presidente provinciale delle Acli di Como