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Forum provinciale per la pace e contro la guerra: un evento molto riuscito

Gennaio 2023

Nel quadro del programma di iniziative del mese della pace 2023, il “Forum provinciale per la pace e contro la guerra” ha proposto - sabato 14 e domenica 15 gennaio - presso il teatro Nuovo di Rebbio, alcuni momenti di formazione e di lavoro di gruppo. Oltre un centinaio di partecipanti hanno aderito alla sollecitazione proposta dal Parroco don Giusto Della Valle e dal gruppo degli organizzatori, di soddisfare l’attesa diffusa di incontrarsi, per ricercare insieme obiettivi comuni, costruiti intorno a pensieri, modalità, strumenti utili per innalzare voci di pace e silenziare la violenza della guerra.

A contorno dei momenti assembleari ci sono stati due momenti di lavoro di gruppo (sui temi dell’accoglienza, dell’educazione alla pace, dell’opposizione alla guerra,  una testimonianza dall’Iran, un contributo sulla questione delle armi nucleari; il concerto di Andrea Paroli, una cena ed un pranzo condivisi. La domenica mattina il Tavolo Interfedi di Como ha proposto una “(s)veglia di riflessioni” molto apprezzata.
Sabato pomeriggio invece è  stata l’occasione di una conferenza con due ospiti qualificati, che ha facilitato l’avvio dei lavori.

Alessandra Mecozzi, già responsabile internazionale della Fiom-Cgil, e presidente dell’Associazione Cultura e Libertà, con il suo intervento ha esplorato gli esiti sociali dell’attuale fase storica e la richiesta diffusa di pratiche di pace, giacché c’è una  difficoltà a leggere quello che sta  succedendo.  La guerra è oramai un elemento strutturale da vari punti di vista: società, mondo, politica, cultura. Siamo ad un anno dall’inizio dalla guerra Russia-Ucraina. È successo in Europa. Come  ci interroga questo fatto circa la convivenza pacifica nella nostra Europa?

Venti anni fa – il pacifismo era considerato allora la seconda potenza mondiale! – c’erano ovunque nel mondo manifestazioni contro la guerra in Iraq, e poi sono venute quelle in Afghanistan, Siria, Yemen, Libia… e continuava quella in Israele-Palestina…, con il portato di distruzione delle popolazioni e dei territori; con un Mediterraneo instabile, con nuovi colonialismi, la continua legittimazione della cultura militarista, la destinazione di risorse comuni per scopi bellici. All’attualità dov’è la sicurezza sociale che è ciò che dovrebbe stare a cuore a noi tutti? Dove stanno gli elementi di ottimismo? Come si può essere contro l’idea di potere che si “vede” in Iran oppure negli esiti delle rivoluzioni nel Mediterraneo (Siria, Egitto, Tunisia…)?   Come possiamo cambiare le cose?  Appare essenziale un compito culturale: dobbiamo cambiare la narrazione. Il movimento femminista sembra essere il più efficace nel prospettare questa situazione: contro la “virilità guerriera”, ed a favore invece di un’idea di società della cura (molto percepita durante la pandemia) che faccia leva sulla memoria, sulle nuove generazioni, sulle relazioni in genere, per la conoscenza, contro la disinformazione. Magari anche quella della politica estera italiana.

Guido Viale, è un ricercatore e progettista in ambito economico, sociale, ambientale, e svolge un’intensa attività pubblicistica, è fondatore dell’associazione “Laudato Sì”  di Milano.
Il suo intervento ha esplorato le connessioni tra geopolitica, conflitti, ambiente e migrazioni. Viale ha messo in luce un aspetto centrale: l’imminente irreversibilità della crisi ambientale, la perdita di diversità biologica, l’interruzione delle catene biologiche. Queste crisi sono legate direttamente a quella sociale, in particolare alle differenze di accesso ai diritti (ha citato come fonte ispiratrice l’enciclica “Laudato Sì”). 

Siamo in un mondo reso oramai invivibile: le guerre accelerano il cambiamento climatico, al punto che non ci sono abbastanza armi da utilizzare, i territori sono distrutti, la produzione di CO2 aumenta copiosamente. Che fare? La crisi ambientale purtroppo non fermerà la guerra. La consapevolezza di tale crisi è sì diffusa, ma come conseguenza di un vuoto culturale: serve una “conversione ecologica”,  (a questo proposito Viale cita due testimoni: Alex Langer e Papa Francesco), e non soltanto una “transizione ecologica”, tanto nell’agire quotidiano quanto in ambiti più macroscopici, specie nel settore dell’agroalimentare. 

Inoltre, l’approccio alle crisi non funziona per singolarità, parzialità:  occorre studiare i territori, conoscere e capire che cosa si produce e si consuma, per acquisire le competenze per una sostenibilità dal basso. Un approccio generico, globale, invece, non ferma l’aumento dei profughi ambientali (che è bene ricordare, non godono di protezione giuridica), e non ferma i conflitti (con conseguente impoverimento dei territori, siccità, scarsità delle risorse idriche…). Occorre saper distinguere, comprendere e agire secondo un’idea di rigenerazione dei territori per il ritorno di priorità in capo alle comunità locali, le quali sanno e possono fronteggiare le sfide umane, climatiche e ambientali.

Alcuni dei temi  sollecitati dai partecipanti  sono stati le crisi ambientali, il militarismo dilagante, il fatto che nella formazione delle scelte occorre dare voce alle associazioni ecologiste, a quelle di assistenza ai profughi/migranti. Peraltro le crisi permangono di lungo periodo, comunque la solidarietà è presente anche  nella drammaticità degli eventi; guerra e cura sono concetti antitetici, mentre l’evidenza delle crisi in corso non dimostra intelligenza, responsabilità, urgenza di cambiamento.

Sono emerse anche altre considerazioni da parte dei relatori. È sicuramente veritiero il motto “pensare globalmente, agire localmente”. Tuttavia chi deve agire? Gli individui, le comunità o i governi? Non basta rivendicare qualcosa di nuovo, potrebbe non essere sostenibile: per esempio non è ecologica una mobilità che predichi l’accesso universale all’auto. Una strada differente potrebbe essere percorsa conoscendo l’entità delle risorse disponibili, relative al singolo territorio che siano in grado di costituire comunità sostenibili. Insomma le grandi decisioni sono spesso il frutto di scelte limitate e lontane dai territori. Le multinazionali conoscono da sempre le conseguenze dell’uso dei combustibili fossili, dei pesticidi, dell’amianto… 

I processi produttivi spesso sono nelle loro mani, ma nelle comunità si può cambiare la scala decisionale, per agire altre scelte. È vero, c’è il diritto internazionale, c’è l’ONU: si parla da anni di riformare l’ONU secondo nuovi principi, poteri e interessi. A livello locale però vediamo la frammentazione delle associazioni e le loro “autocenteature”… Le prospettive sono figlie di processi lunghi e complessi.

Le associazioni del Forum saranno garanti della continuità e dello sviluppo delle indicazioni raccolte, rielaborate e condivise a breve con tutti i partecipanti.

 

Francesco Beretta, Piergiorgio Pozzi e Piero Torricelli componenti del consiglio provinciale delle Acli di Como

(foto di Pietro Caresana - Ecoinformazioni)