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Il terzo settore, spina dorsale della nostra comunità

Aprile 2020

Senza solidarietà e responsabilità per il destino comune nessun tipo di efficienza economica o tecnica ci aiuterà ad andare avanti.

 

“La società non esiste. Esistono gli individui. E le persone devono guardare per prime a sé stesse” (Margareth Thatcher, 31 ottobre 1987).

E’ stata la chiave interpretativa di decenni di politiche economiche nell’occidente. La visione sottostante al nostro modello di sviluppo. 

L’emergenza sanitaria che in questi giorni modifica le nostre vite non sarà un semplice “stop and go”, dopo il quale, come avviene nei gran premi di Formula 1, riprenderemo la stessa corsa di prima, magari più veloci per recuperare il tempo perduto.

Sarà indispensabile metterci nelle condizioni di pensare assieme il futuro, riconoscendoci non come individui in perenne competizione tra loro e il cui destino dipende solo dalle proprie scelte, ma come soggetti che per sopravvivere e “avere successo” hanno bisogno degli altri.

Vale per le persone, per le imprese, per le comunità.

Scopriamo in questi giorni quanto dipendiamo dagli altri.

E, soprattutto, scopriamo quanto gli atti individuali abbiano conseguenze sulle persone attorno a noi. Tutto il contrario di quanto ci hanno insegnato con l’ideologia dell’individualismo, del benessere narcisistico e della meritocrazia.

Intanto stiamo imparando quanto sia utile essere “prudenti”. Fermarsi e fare un passo indietro.

Certo tutto questo ci costerà “un sacco di soldi”: la caduta del Pil e dei livelli di reddito che abbiamo conosciuto nella crisi successiva al 2008 ci sembreranno poca cosa rispetto a quella che sperimenteremo.

Ma dopo la prudenza – come ha scritto Baricco – deve venire la stagione dell’”audacia”.

Delle misure capaci di cambiare il nostro modello di sviluppo e la nostra modalità di convivenza.

Un primo spunto ci viene dalle esperienze di questi giorni.

Nell’emergenza scopriamo molto bene che le risposte individuali non servono a nulla e che i Governi, da soli, hanno le armi spuntate.

Serve, al tempo stesso, riconoscersi in comunità più ampie – l’Europa – e costruire comunità più coese, legami più solidi, relazioni più forti.

Ci hanno raccontato che la salvezza sarebbe arrivata dalla disintermediazione e che “uno vale uno” e, invece, solo una forte società civile organizzata può costruire le risposte di cui abbiamo bisogno.

Altro che “la società non esiste”.

Basta pensare a cosa accadrebbe, infatti, se venisse meno oggi.

Siamo tutti attentissimi su ciò che accade negli ospedali e ogni pomeriggio ci danno i bollettini, ma dobbiamo renderci conto di ciò che accadrebbe se i centri di aiuto, quelli di accoglienza, i dormitori, le mense sociali, le sedi delle centinaia di cooperative e di associazioni che compongono la spina dorsale della nostra comunità chiudessero o riducessero i propri servizi ai più fragili, ai più esposti.

Resistendo all'onnipotenza ottusa della burocrazia, che le lascia senza indicazioni e senza dispositivi di protezione, a qualche zelante funzionario sindacale che scambia luoghi di cura per fabbriche fordiste, riorganizzandosi ma senza arretrare per provare a “dare una mano”.

Diventando, spesso, l’ultimo argine per evitare il colasso e sostenere le persone.

Osservo con rammarico una lacuna registrata nella gestione della crisi.

Il mondo variegato e corposo degli enti di Terzo Settore è fatto di una grande quantità di soggetti che con competenza e passione si occupano da tempo di erogare servizi e assistenza sanitaria. Penso ad esempio, ma ovviamente non solo, alle tante cooperative sociali che si dedicano agli anziani non autosufficienti e ai portatori di disabilità varie…

Credo sia un mondo che potrebbe essere attivato molto di più.

Oggi “lasciamo a casa” con il sostegno del FIS o della cassa in deroga centinaia di persone, cui invece potremmo chiedere di dare il grande contributo di cui sono altamente capaci.

Anche nei provvedimenti di natura economico-finanziaria che si vanno predisponendo non basta pensare a imprese, famiglie, partite IVA….

Occorre ricomprendere con modalità specifiche anche il sostegno a quei soggetti di Terzo Settore senza i quali tutti saremmo più poveri ed esposti.

Tra l'altro sarebbe un messaggio che ha un significato generale: ripartiremo se saranno più forti le reti che tengono connesse le nostre comunità.

E questo vale per gli Enti che si occupano della cura, come per le Banche che accompagnano le nostre comunità come le BCC; per i corpi intermedi che aiutano imprese e persone a costruirsi un nuovo futuro come per le reti territoriali.

E, infine, dobbiamo prendere definitivamente consapevolezza che i livelli di diseguaglianza economica e sociale attuali sono incompatibili con l’essere una comunità.

Servirà una grande inversione di rotta. Non solo nelle politiche dei governi.

Ci riusciremo solo rimettendo al centro il destino comune, il valore condiviso, i modelli e le pratiche cooperative. Con più società e meno mercato.

 

Mauro Frangi, consigliere provinciale ACLI COMO