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Jus culturae, una risorsa

Maggio 2021

Da sempre gli uomini sono stati migranti. Mio bisnonno, mezzadro senza terra in una cascina dell’olgiatese, fu cacciato brutalmente dal proprietario negli anni ’20 del secolo scorso (era il “San Martino” dei mezzadri). Dei suoi due figli, uno, mio nonno, si sistemò in una corte povera, con poca terra in affitto ed una mucca in comune con un vicino, migrante valtellinese. Suo fratello invece decise di fuggire dalla povertà e di andare alla ricerca di fortuna negli Stati Uniti. Così, un pezzo della mia famiglia, quella materna, i Bernasconi, da allora sono nel Connecticut. Lo zio Arturo non divenne ricco, ma si costruì una casa ed ha dato un futuro alle figlie ed ai nipoti, cittadini americani. L’emigrazione è nella storia dei nostri paesi. Ne cito solo due, esemplari e emblematiche: i contadini (di montagna) dell’Alto Lago, soprattutto di Montemezzo, emigrati nel ‘600 per fare i commercianti e gli artigiani a Palermo; i contadini (di mezza montagna) di Bene Lario che, dal 1842 in poi, andarono a cercar fortuna “alla fine del mondo”, nel lontanissimo Cile.

 

Le biblioteche sono ricche di studi sulle migrazioni degli italiani nel mondo. E sono note anche le caratteristiche che sempre si ripetono nei comportamenti delle persone. Per esempio, i difficili rapporti tra la prima e la seconda generazione, tra il padre che emigra ed i figli che nascono nel paese di emigrazione. Con i primi che restano legati alla cultura di origine ed i secondi che invece hanno il problema di una doppia emancipazione: dalla figura dei genitori e dalla loro cultura originaria.

 

La proposta lanciata da Enrico Letta, “facciamo una legge per lo jus solis” (in sostituzione di quella jus sanguinis in vigore) ha suscitato subito reazioni negative, soprattutto in coloro hanno in mente solo gli sbarchi ed i migranti clandestini.

In realtà stiamo parlando di cittadini regolarmente residenti in Italia da molti anni, la maggior parte di loro dalla nascita. Quindi cittadini assolutamente “regolari”, anche secondo la definizione data dal leader della Lega. Prendiamo allora in considerazioni i numeri e facciamo qualche conto economico.

 

Nell’anno scolastico 2017-2018 gli studenti stranieri presenti nel sistema scolastico italiano erano 818.365, il 9,7% del totale.

Durante il Governo Gentiloni è stata in discussione nel Parlamento una proposta concreta che prevedeva la possibilità di dare la cittadinanza ai minori stranieri che avessero completato un ciclo di scuola, richiedendola al compimento del 16° anno, due anni prima di diventare maggiorenni. Era lo jus culturae.

Degli 818.365 minori frequentanti le nostre scuole nel 2017-2018, almeno il 60%, cioè 490.000 circa, sono nati in Italia. Stiamo parlando quindi della possibilità di dare la cittadinanza italiana a minori “ormai totalmente italiani”.

 

Ora vediamo questa semplice tabella, che riporta dei dati dei paesi OCSE (www.ocde.org, “Education at the glance”), con la spesa per allievo, in dollari USA, per le Scuole Primarie e per quelle Secondarie di I° e II° livello, cioè per i 5 anni delle scuole elementari (Primarie), i 3 anni delle medie inferiori (scuole secondaria di I° livello) ed i 5 anni delle Superiori (scuole secondarie di II° livello).

Sono prese in considerazione le cinque nazioni più grandi dell’Europa ed una, la Norvegia, piccola ma che rappresenta la situazione dei paesi scandinavi. Intanto si vede subito il divario, evidente, che separa l’Italia dagli altri grandi paesi (più la Norvegia). Spendiamo sempre meno degli altri paesi. E si notano due cose: il divario è minore per quel che riguarda la Scuola Primaria, diventa ben più ampio per la Scuola Secondaria. Dove diventiamo ultimi, perché siamo superati anche dalla Spagna.

Ora, è sufficiente un semplice calcolo ed abbiamo il costo standard di ogni studente italiano per i 13 anni di scuola, dal 1° anno della Scuola Primaria, al V° anno di un Istituto Secondario di II° Grado. Sono esattamente 136.392 USD. Questo è quanto ci costa ogni ragazzo, cittadino italiano o cittadino straniero (magari nato in Italia) che frequenta per 13 anni le nostre scuole.

 

Possiamo stimare che, complessivamente, siano, a dir poco, 400.000 i giovani stranieri che facciano il percorso completo, dei 13 anni di studio.

Il loro costo complessivo, in 13 anni, è di 54.556 milioni di USD.

 

Nei paesi dove si applica lo jus solis non ci sono problemi, è un investimento per il futuro. In Italia, poiché applichiamo lo jus sanguinis, il destino di questo investimento è incerto. Perché non è detto che questi 400.000 giovani, al compimento del 18 anni, ottengano la cittadinanza italiana.

 

Intanto perché possono chiederla, a norma di legge, solo “dopo” aver compiuto i 18 anni e “prima” di aver compiuto i 19. Poi, sempre la legge, prevede che la procedura per ottenere la cittadinanza possa durare altri 3 anni. Quindi arriviamo ai 21, se va bene. Ma siccome la nostra legislazione è precisa, non solo bisogna saper dimostrare di essere stato, legalmente ed ininterrottamente, dalla nascita al 18° anno residenti in Italia, con tutte le certificazioni del caso, ma, anche avere un reddito personale o familiare degli ultimi 3 anni di 8.263,31 euro, se solo, o di 11.362,05 euro se con persone a carico. Questi sono gli arzigogoli legislativi che forse è giusto eliminare.

 

Che, tra l’altro, non vengono richiesti se si dimostra di avere un bis-nonno italiano, perché lo jus sanguinis vale anche per una persona che in Italia non ha mai messo piede. Quindi, può diventare immediatamente italiano una persona anche di terza o quarta generazione che ha uno sbiadito ricordo della nostra lingua e della nostra cultura e non un minore straniero che frequenta per 13 anni le nostre scuole.

 

La domanda da porsi sulla necessità di una norma che renda, rapidamente, cittadini italiani i giovani nati in Italia da famiglie straniere, o arrivati in Italia da minorenni è semplice: possiamo permetterci di buttare a mare o svendere 54.556 milioni di dollari?

 

Naturalmente la domanda è rivolta principalmente ai dirigenti dei partiti che si oppongono, in modo abbastanza pregiudiziale, alla proposta e cioè a Lega e Fratelli d’Italia.

Una precisazione su una possibile obiezione: “con tutti i problemi che abbiamo, perché lo jus culturae?”. Giustissimo, abbiamo molti problemi. Per esempio, quello di una, sperabile, ripresa economica, che però è strettamente legata anche ad una ripresa della natalità ed a un aumento dei giovani, maschi e femmine, occupati.

Solo che, anche con una banale analisi SWOT, emerge che lo jus culturae non è un problema: è una risorsa, una opportunità, un fatto di giustizia. A costo zero. Perché, quindi, in una situazione difficile, dobbiamo sprecare risorse?

 

Beppe Livio, già presidente provinciale ACLI COMO