Home » Laboratorio Sociale » L'anno che verrà

L'anno che verrà

Gennaio 2022

Nell’approssimarsi di un nuovo anno è piuttosto comune domandarsi come sarà “l’anno che verrà”, e magari così facendo la memoria ci riporta in superficie proprio quelle parole della celebre canzone di Lucio Dalla, che inizia la sua lettera-poesia dicendo “Caro amico ti scrivo…” e poco dopo aggiunge che “...l’anno vecchio è finito ormai ma qualcosa ancora qui non va…”. 

Si tratta di un brano senza tempo che, pur essendo stato scritto più di quarant’anni addietro, ben si attaglia al periodo tumultuoso che stiamo vivendo.  La pandemia infatti - nonostante il beneficio vaccinale - non è ancora stata debellata, in Italia ma anche in Europa come nel resto del mondo, tanto che l'impennata dei contagi sta aumentando i timori degli italiani. Sono stati gli ultimi quasi due anni vissuti per così dire “pericolosamente”, poiché l’emergenza sanitaria ha sorpreso gli abitanti dell’intero pianeta, sia per i caratteri nuovi e mutevoli del virus, sia per il fatto che ci si è trovati sbigottiti davanti a questa poco frequente evenienza. Essa rievoca alcune similarità con la tremenda “influenza spagnola” insorta nel 1918, ricordo però che oramai è troppo lontano nel tempo. Non sappiamo che cosa succederà per il futuro, forse dire addio al Coronavirus nel breve periodo è un’utopia, si potrebbe sperare semmai che lo stesso continui la sua presenza diventando una malattia meno grave e controllabile, ma gli esperti non si sbilanciano troppo su questa possibilità.

Quello che è certo è che l’emergenza in atto rappresenta un enorme crisi di carattere epocale, che è in prima battuta evidentemente di tipo sanitario, ma con pesanti contraccolpi, sull’economia, sull’occupazione e sull’intera comunità e che ha accentuato le disuguaglianze già esistenti. 

Andrà tutto bene” si affermava con una buona dose di ottimismo agli albori del contagio, purtroppo non è stato così per le tantissime persone che sono decedute o per quelle che sono state travolte dalle molteplici conseguenze causate dalla malattia. Nonostante gli evidenti effetti sulla società, il virus comunque non ha colpito tutti nella stessa maniera, ma ha dispiegato le sue ripercussioni più negative su alcuni target della popolazione: i giovani, le donne, i lavoratori (specie se precari), i quali vanno aggiunti alle categorie già fragili e a rischio come gli anziani, i disabili, i senza fissa dimora

La pandemia si è abbattuta poi su un mercato del lavoro caratterizzato da marcate differenziazioni, allargando il dualismo tra le diverse categorie di lavoratori, magari tra quelli ritenuti “essenziali”, che hanno dovuto fronteggiare carichi di lavoro straordinari, e gli altri legati a servizi identificati come più “voluttuari”, che sono stati penalizzati.  Abbiamo però anche imparato a lavorare da remoto, infatti lo smart working è aumentato inizialmente esponenzialmente, ma ha riguardato soltanto talune categorie di occupati e necessita per la sua operatività di condizioni e di spazi di lavoro adeguati nelle abitazioni, successivamente però è stato utilizzato un po’ troppo a fasi alterne. Il lavoro comunque in generale è poco e quello che c’è è sempre meno tutelato, tanto è vero che sono stati molti i lavoratori che hanno deciso di sostare nei pressi della fabbrica, per rendere pubbliche le loro preoccupazioni circa il futuro dell’azienda nella quale sono occupati.

Quello che non manca invece è la povertà e le diseguaglianze che sembrano essere aumentate, proseguendo quel trend già noto anche in precedenza e che ha reso “i ricchi sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri”.

Non mancano nemmeno i morti sul lavoro, un’emergenza quest’ultima che non è stata rallentata dall’attuale congiuntura, e che rappresenta una sconfitta per la società, poiché dietro ad ogni numero, statistica, percentuale, c'è un nome ed un cognome, una vita di una donna o di un uomo per sempre spezzata.

Un certo malcontento diffuso è sfociato nello sciopero generale che è stato proclamato il 16 dicembre da parte della CGIL e della UIL, che pur apprezzando l’impegno del vigente esecutivo, hanno considerato la manovra allora in itinere insoddisfacente su importanti tematiche, tra le quali il fisco, le pensioni, la scuola, la politica industriale e la lotta alle disuguaglianze. Quando sussistono interessi divergenti è giocoforza che si inneschino dinamiche discordanti; tuttavia il “conflitto sociale” non va combattuto o peggio ancora negato, in nome dell’illusione che si possa vivere senza la fatica della contrapposizione, di una coesione sociale che scaturisce sic et sempliciter dalla “pacifica convivenza tra egoismi.” La democrazia risulta sempre più viva anche per il costo che ad essa dobbiamo pagare, ed il conflitto è il portato inevitabile di una società caratterizzata da un elevato grado di disuguaglianza, ma fa anche parte di un metabolismo collettivo necessario, mediante il quale gli artefici provano di volta in volta a cercare, con metodi pacifici ed appunto democratici, nuovi equilibri comunque sempre intrinsecamente transitori, in grado però di soddisfare le aspettative del maggior numero di persone possibile.

Non bisognerebbe avere paura neanche del “pensiero critico” - piuttosto del cosiddetto “pensiero unico” - giacché chi si propone di andare al di là della parzialità dei fatti così come appaiono, chi coltiva il dubbio, l’incertezza; chi arriva ad un qualche approdo (quasi sempre provvisorio) attraverso l’analisi, il discernimento, lo studio, spesso giunge a conclusioni inedite che fanno progredire la società. E’ uno dei compiti principali della politica quello di trovare una composizione degli interessi, una mediazione, un equilibrio tra le parti attraverso una negoziazione di alto profilo, dove l’utilità generale viene prima di quella particolare, dove la “visione” ha la meglio sul pragmatismo, dove le necessità della contingenza sono commisurate con le progettualità di più ampio respiro.

“Niente sarà più come prima” è stato un altro di quegli slogan, degli hashtag, che hanno connotato la presa di coscienza collettiva della crisi sanitaria. Così è maturato un pensiero critico sulla fase giungendo alla conclusione che è certamente necessario proprio adesso che si sta evidenziando una certa ripresa, adottare un diverso modello di sviluppo costruito a partire dai bisogni concreti delle donne e degli uomini che vivono la realtà, e contemporaneamente dando poco spazio al mito della crescita economica infinita realizzata a qualunque costo e magari calata dall’alto. Che è urgente una protezione diffusa del pianeta - della nostra “casa comune” - perché gli effetti dannosi del climate change sono già una realtà oggettiva, cura che è da affidare ai principi dell’ “ecologia integrale”, a verificabili politiche di sostenibilità e non al “...bla, bla, bla...” che sa molto di attenzione ambientale di facciata, come ha affermato recentemente la giovane attivista svedese Greta Thunberg.  In Italia poi abbiamo l’occasione storica costituita dal PNRR, il cosiddetto Recovery Plan, per una trasformazione in senso sostenibile del Paese, dando così corpo alla ripartenza ed al raggiungimento di obiettivi declinati necessariamente dentro ad una cornice di equità, condivisione, partecipazione, cioè in un processo dove il capitale umano sarà indispensabile per “mettere a terra” ogni progetto. 

Per le ACLI è importante pensare ad un 2022 “contagioso” di speranza, che nasce dalla sperimentazione quotidiana di condizioni di pace e di coesione sociale che coinvolgono ciascuno nel suo ambito di azione, a partire dai bisogni delle persone più fragili e meno strutturate, attraverso diversificati momenti di formazione, spiritualità, e mediante la pluralità dei servizi che l’associazione riesce a mettere in campo. Anche così si può contribuire alla costruzione di “un nuovo mondo possibile”.

Andrea Rinaldo, già  Consigliere Provinciale ACLI Como