La festa dei lavoratori nelle piazze virtuali
Maggio 2021
Gli italiani hanno vissuto un “1° Maggio” ancora sicuramente molto differente dai precedenti, poiché per la seconda volta consecutiva le restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria non potevano consentire di celebrare la sentita Festa dei Lavoratori, con le tradizionali manifestazioni di piazza sia di livello nazionale che territoriale.
Non sono mancate comunque le iniziative storiche, come il Concertone del 1° Maggio, che quest’anno si è tenuto all’auditorium del Parco della Musica in Roma con pochi spettatori; mentre per quanto ha riguardato la provincia di Como, si è svolto un presidio nell’azienda Henkel di Lomazzo, dove per l’occasione erano presenti a nome delle tre sigle confederali sindacali, Salvatore Monteduro per la UIL, Paolo Ronchi per la CISL ed Alessandro Pagano per la CGIL. Scelta non casuale quella dell’azienda tedesca, la cui sede operativa di Lomazzo, per volontà della dirigenza della stessa multinazionale, dovrebbe chiudere i battenti già ad inizio estate, facendo così piombare nella disoccupazione parecchi lavoratori e lavoratrici, tra dipendenti ed indotto di altre ditte esterne collegate all’impianto di Viale Como. Senza entrare troppo nel dettaglio di tale vicenda, che ha messo in agitazione la relativa forza lavoro, la scelta di smantellare l’opificio appare peraltro incomprensibile, se relazionata al fatto che nell’annus horribilis 2020 la Henkel ha sostanzialmente mantenuto il fatturato precedente, giacché durante la pandemia vi è stato un significativo aumento della domanda di prodotti legati all’igiene.
Di contro la traversia dello stabilimento di Lomazzo conferma l’appropriatezza dello slogan che è stato coniato quest’anno per la Festa dei Lavoratori, e cioè che “L’Italia si cura con il lavoro”. Dopo una fase di incertezza sembra all’attualità decollare la campagna di vaccinazione, elemento indispensabile per una ripartenza in sicurezza del nostro Paese, sia dal punto di vista della salute, che da quello economico e sociale, in modo da consentire a tutti i cittadini e le cittadine, di uscire dalla morsa stringente della calamità che ci sta affliggendo. Tuttavia il lavoro è altresì una “medicina” necessaria, al pari della profilassi, in grado di garantire un futuro. Infatti senza occupazione non c’è dignità, integrazione nella comunità, manca un motivo essenziale di realizzazione personale e collettiva. Il lavoro è il fondamento della nostra Repubblica democratica giacché attua in concreto la partecipazione responsabile orientata verso il bene comune, e concorre, in senso Costituzionale, al “progresso spirituale o materiale della società”.
Sono valori che proprio nel nostro territorio vengono, talvolta, messi in discussione anche da certe commemorazioni nostalgiche che vorrebbero riproporre modelli del passato già sconfitti dalla storia.
E’ necessario che il diritto al lavoro, ad un buon lavoro, non rimanga confinato soltanto sulla “carta”, deve essere concretamente esigibile, mentre l’esperienza quotidiana mette a confronto gli italiani con la penuria occupazionale, con le difficoltà di esercitare una professione dentro le restrizioni della pandemia, con la scarsa valorizzazione delle competenze acquisite e con condizioni di sfruttamento.
E’ necessario che in questa temperie ci sia un intervento per procrastinare la delicata questione del blocco dei licenziamenti, ed anche una riforma degli ammortizzatori sociali e delle tutele del lavoro in senso generale. Spesso ci si trova dinnanzi ad un modello di capitalismo che mostra sempre di più il suo volto selvaggio. E’ inaccettabile che le multinazionali (e non soltanto queste ultime), trattino le lavoratrici ed i lavoratori in modo strumentale, che li governino magari con un “algoritmo”, e che li muovano come pedine da utilizzare ma soltanto alla bisogna.
Inoltre - come ha più volte affermato papa Francesco - non si può difendere questo sistema economico idolatrico globalizzato, che ha messo al centro dei suoi interessi il dio denaro e la finanza, promuovendo contemporaneamente la “cultura dello scarto”, dove il surplus di mano d’opera oppure semplicemente i più deboli o i giovani, vengono accantonati. La cultura dello scarto si affianca al marcato individualismo generato dalla “civiltà dei consumi”, che è il tratto distintivo della nostra epoca ed il paradigma fondativo del sistema economico dominante, in quanto una buona parte della “popolazione attiva” partecipa appunto alla produzione, alla distribuzione, al consumo dei beni e dei servizi. Tuttavia l’essenza ontologica del consumatore di massa, per quanto messa in sordina da un edonismo incentivato prepotentemente dalle forme di economia sopra evidenziate, mantiene una profonda aspirazione a realizzarsi invece come “persona”, cioè come essere umano che si costruisce soprattutto attraverso un complesso sistema di relazioni con i suoi simili, ed in particolare proprio quelle relazioni che si instaurano nei luoghi di lavoro dove si trascorre buona parte della nostra vita. Nella pandemia abbiamo inoltre compreso come sia indispensabile una nuova “conversione ecologica”, in quanto parecchi dei mali che ci affliggono sono proprio correlati ad uno sfruttamento eccessivo, non sostenibile, insensato, delle risorse del pianeta - che è la nostra “casa comune” - conversione che non è più rinviabile né tanto meno riducibile ad un mero greenwashing.
Così per le ACLI è necessario dimostrare di avere il “coraggio del lavoro”, come atto di resistenza quotidiano, perché è da questa prospettiva che può prendere piede una ripartenza solidale ed una economia più giusta. Le stesse ACLI hanno aderito all’iniziativa sindacale “L’Italia si cura con il lavoro”, invitando gli iscritti ed i simpatizzanti a ritrovarsi nelle piazze virtuali collegate alla Festa dei Lavoratori, poiché se c’è una cosa che dovrebbe averci insegnato questo periodo emergenziale è che, nonostante l’individualismo dilagante, “nessuno si salva da solo”.
Andrea Rinaldo, già Consigliere Provinciale ACLI di Como
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