Orientamenti congressuali: le Acli, partendo dalle loro radici, guardano al domani
Gennaio 2020
Perché come aclisti pensiamo che valga ancora la pena di impegnarsi nel sociale.
- Alle origini del pensiero sociale cristiano.
Fin dalle origini l’azione delle Acli si è ispirata al messaggio evangelico e al magistero sociale della Chiesa, abbracciando la visione del personalismo comunitario.
Il patrimonio filosofico personalista, così come declinato dal cattolicesimo democratico italiano, implica una visione della società e dello Stato imperniata sul presupposto espresso da San Tommaso: la Grazia di Dio non annulla la natura umana, ma la perfeziona. La natura della persona non potrebbe realizzarsi compiutamente senza sviluppare la sua essenziale propensione alla relazione umana.
Dunque la famiglia, le comunità e le diverse organizzazioni della società civile, perfino lo Stato, sono come entità naturali, hanno origine e giustificazione nell’esperienza umana. Di conseguenza la famiglia, le varie forme associative della società civile e soprattutto lo Stato, che ha la funzione di regolare e normare la società civile, devono tendere a creare le condizioni affinché la persona possa realizzarsi integralmente.
Questa impronta filosofica è alla base del pensiero sociale delle Acli: lo Stato ha un fondamento naturale e la ragione ha il compito di valutare in che misura le dinamiche sociali abbiano una corrispondenza con i valori di giustizia sociale, dignità e libertà dell’uomo.
L’armonia tra Chiesa e Stato ha avuto un’evoluzione storica, durata secoli: è stata una evoluzione tortuosa, difficile. Anche nella Rerum Novarum di Leone XIII (1891), con la quale inizia la dottrina sociale della Chiesa, prevale un orientamento difensivo entro il quale gli auspicati provvedimenti legislativi o contrattuali a favore dei lavoratori sono finalizzati a ridurre i danni del disordinato sviluppo della società industriale, garantendo almeno gli essenziali diritti della persona, mentre non è prevista né auspicata un’azione sociale volta a modificare le strutture ingiuste della società. Tuttavia, la Rerum Novarum ha prodotto, grazie soprattutto all’insegnamento di Giuseppe Toniolo, un orientamento cattolico-sociale che si proponeva un impegno concreto a favore della classe operaia, finalizzato ad eliminare, o quantomeno ridurre significativamente, la condizione di subalternità che la opprimeva. Tale orientamento cattolico-sociale costituisce per le Acli un’eredità permanente e feconda fin dalla nascita. E da allora, dagli anni in cui nasce l’associazione, data pure la fedeltà delle Acli alla democrazia.
L’antifascismo è l’orizzonte in cui si muove la democrazia italiana e l’indefettibile riferimento ideale delle Acli, oggi come ai tempi in cui visse il fondatore Achille Grandi, che personalmente pagò l’opposizione al regime testimoniando con i fatti l’adesione ai principi democratici anche ritirandosi con gli altri parlamentari sull’Aventino. È con il Concilio Vaticano II che si apre in modo compiuto la prospettiva di un impegno deciso dei laici cristiani per trasformare la società.
La Gaudium et Spes espone in modo organico e lucido una nuova prospettiva per la Chiesa, che deve cercare di cogliere frammenti di verità nella mentalità e nella cultura laica, anche quando essa appare lontana dal cristianesimo. Di conseguenza, è compito della Chiesa, e dei laici in primo luogo, riallacciare profondi legami con «gli uomini e le donne di buona volontà», soprattutto nell’impegno comune per la pace, la giustizia sociale, lo sviluppo della scienza e della tecnica.
Come ha più volte sottolineato Jacques Maritain, la mentalità e la cultura moderna impongono al cristiano di rinunciare definitivamente e consapevolmente all’utopia di chiedere al mondo l’effettiva realizzazione del regno di Dio: “Lo scopo che il cristiano si pone nella sua attività temporale non è di fare di questo mondo stesso il Regno di Dio, bensì di fare di questo mondo, secondo l’ideale storico richiesto dalle diverse età, il luogo di una vita terrena veramente e pienamente umana, cioè piena certamente di debolezze, ma anche piena d’amore, le cui strutture sociali abbiano come misura la giustizia, la dignità della persona umana, l’amore fraterno…” (Umanesimo integrale, 1936). Come è noto, le idee personaliste penetrarono nella cultura cattolica italiana e nella stessa Chiesa nell’immediato secondo dopoguerra, grazie ad Angelo Roncalli, nunzio apostolico a Parigi fino al 1953, a Giovanni Battista Montini, in Segreteria di Stato fino al 1954, ad esponenti cattolici presenti nell’Assemblea Costituente, come De Gasperi, Dossetti, La Pira, Moro e Lazzati.
In questo contesto storico culturale, la concezione delle Acli dei rapporti tra Chiesa e mondo si è sviluppata, precisata e ulteriormente arricchita. Ci sono quindi alcune costanti dell’azione sociale delle Acli che, al di là delle diverse contingenze storiche, rappresentano una sorta di patrimonio genetico dell’associazione. Dopo la scissione sindacale in seguito all’attentato a Palmiro Togliatti (luglio 1948), il compito di coordinamento nei confronti della componente cristiana del sindacato si è di fatto estinto, e a partire dal III Congresso nazionale (novembre 1950) le Acli si definiscono movimento sociale dei lavoratori cristiani. In quegli anni vanno gradatamente potenziandosi e sviluppandosi le attività connesse alle finalità educative, formative, religiose e soprattutto di gestione di servizi relativi ad attività previdenziali, cooperativistiche e ricreative.
Con il primo Incontro nazionale di studi a Perugia, nell’estate del 1952, le Acli cominciano a delineare in maniera più approfondita la loro identità e la loro ragion d’essere, anche a seguito dei mutamenti nel frattempo intervenuti in ambito sindacale e politico. In primo luogo, si definiscono come componente cristiana del movimento operaio e, più in generale del movimento dei lavoratori. Poiché quest’ultimo consiste principalmente nel rendere possibile l’elevazione dei lavoratori stessi, riducendo o rimuovendo le cause, di ordine economico, culturale e sociale, che ne limitano la realizzazione come persone.
Il perno attorno a cui ruota l’identità aclista è l’«azione sociale», precisato e sviluppato durante la presidenza di Dino Penazzato (1954-1960). Tale idea presuppone una pratica di animazione della realtà temporale molto vicina alla visione del personalismo cristiano. Anche se molti dirigenti aclisti non conoscevano direttamente il pensiero francese di Maritain e Mounier, le loro idee si diffusero significativamente nelle Acli. L’azione sociale presuppone innanzitutto una conoscenza approfondita delle strutture economiche e sociali, e dunque richiama i laici cristiani alla centralità della formazione. Inoltre, ha come fine una società più giusta, nella quale l’uomo possa realizzarsi sempre più come persona. Infine, poiché una società più giusta è pensabile e perseguibile tramite l’esercizio della conoscenza e della ragione, tutti gli uomini di buona volontà possono collaborare proficuamente per cercare di realizzarla, indipendentemente dalla fede religiosa. Per tutti gli anni Cinquanta le Acli mantengono caratteri fortemente progressisti, sia per la loro organizzazione democratica interna, sia per la tensione anticapitalista, intesa come mancata accettazione di strutture economiche che generano ingiustizia. Il travaglio intellettuale dell’associazione viene riassunto da Dino Penazzato il 1 maggio 1955, attraverso l’idea di una triplice fedeltà: alla democrazia, ai lavoratori e alla Chiesa. Questa sintesi è rimasta una costante immutabile della vita associativa del movimento, alla quale nel 1969 si aggiunge un altro principio cardine: la libertà di voto. Come elettore ognuno è chiamato a compiere scelte personali in coerenza coi valori cristiani. Il superamento del collateralismo ha accentuato la propensione all’impegno politico: gli aclisti si sono sentiti così chiamati a contribuire “alla costruzione di una nuova società”.
Ai caratteri fondamentali derivanti dalla triplice fedeltà, nel corso degli anni Ottanta, in concomitanza con il ridursi della capacità dei partiti tradizionali di interpretare le sensibilità e i bisogni della società civile e di favorirne gradualmente la crescita e la consapevolezza attraverso idonei processi di mediazione, le Acli hanno aggiunto l’attenzione all’autonomia e all’organizzazione della società civile, luogo di un impegno civile proiettato al futuro.
- Vivere il presente: contrastare disuguaglianza e povertà
L’essere tornati a riaffermare le radici filosofiche del pensiero sociale aclista non ha una funzione rievocativa o commemorativa di ciò che siamo stati, ma ha il compito di mostrare il retroterra culturale dal quale provengono le Acli.
Le nostre radici sono una fonte di ispirazione potente e preziosa per l’elaborazione culturale e per trovare modalità di azione sociale capaci di incidere sul presente. Un tempo nel quale l’attualità sembra aver cancellato il passato e annullato il futuro.
Per vivere il presente occorre starci dentro ad occhi ben aperti. E, standoci dentro, il dato che più degli altri risulta evidente, tanto da caratterizzare i nostri tempi, riguarda senz’altro la crescita delle disuguaglianze: è questa la prima, grande frattura, come la definisce Stiglitz nel suo ultimo libro, che fa da sfondo a tutte le altre. Le disuguaglianze di reddito e di ricchezza si diffondono, la distanza tra ricchi e poveri aumenta e la crescita degli ultimi decenni ha avvantaggiato solo chi stava già in cima. La mobilità sociale, specie nel nostro Paese, appare bloccata e l’ereditarietà è tornata ad avere un peso preponderante sulle opportunità disponibili e sulle traiettorie di vita delle persone.
La risposta sociale a questo genere di limitazioni è spesso la mobilità geografica: negli ultimi venti anni sono ripresi consistenti spostamenti di individui all’interno dell’Italia e verso l’estero, mentre, a livello mondiale, la crescita delle disuguaglianze e il declino delle possibilità di vita alimenta costantemente la spinta migratoria. Le disuguaglianze che si riscontrano nel mondo sono un riflesso della disumanizzazione dei rapporti umani che caratterizza la nostra epoca.
Tanti episodi di una lunga deriva mostrano come praticare l’ascolto, il riconoscimento e il rispetto dell’altro, accoglierlo nella sua diversità, cercare con lui e non contro di lui vie di giustizia e di pace, non considerarlo alla stregua di una merce, né piegarlo al proprio esclusivo vantaggio non sia più desiderabile, anzi. E così si è smarrita la storia comune e una comune prospettiva di senso. Allo stadio, in tv, nelle piazze e persino nelle aule del Parlamento si certifica lo stesso imbarbarimento dei rapporti e l’arretramento di civiltà.
In tale temperie lo sviluppo tecnologico sembra essere funzionale a ridurre l’empatia umana in modo da rafforzare l’assetto attuale, basato su stili di vita improntati al materialismo consumistico e all’individualismo.
Anche la politica, intanto, diventa cinica e disumana, vedendo comparire formazioni autoritarie e forme di neofascismo che per il loro portato antidemocratico vedono le Acli impegnate in prima linea a contrastarle: non vanno sdoganate, né derubricate; non sono opzioni praticabili, oggi come in passato. Riconoscere la pari dignità umana esige di contrastare le crescenti disuguaglianze.
È una questione di umanità e giustizia sociale, ma non solo: queste portano con sé effetti che riguardano anche l’economia in generale, perché le economie “ingiuste” crescono poco.
L’Italia, infatti, come ha più volte ricordato il Censis, è ormai da tempo la società dello zero virgola, ovvero un sistema-Paese che, anche in congiuntura favorevole, cresce ogni anno ben al di sotto dell’1% di Pil. L’eccesso di forbice sociale danneggia la società nel suo complesso, provocando danni sociali ed economici, mettendo a rischio da ultimo (ma non per ultimo) la democrazia. Le diagnosi negative sullo stato delle cose sono difficili da confutare, ma non possiamo far nostra la passiva ammissione che la scala dei problemi sia troppo grande per poterci fare qualcosa.
Le Acli, che hanno nella propria missione la promozione integrale della persona, non possono e non vogliono rassegnarsi a questa realtà. Lo abbiamo ribadito negli ultimi Incontri di studio in cui abbiamo attentamente analizzato la situazione e avanzato proposte; lo dichiariamo attraverso l’azione sociale che pratichiamo ogni giorno. La sostanza del nostro rifiuto ad accettare lo stato delle cose risiede nell’ascolto del Magistero del Papa, nel quale completamente ci riconosciamo: siamo parte viva della Chiesa di Francesco e vogliamo con lui camminare sulla strada della vera fraternità.
- Ascoltare e farsi ascoltare
«Pessimismo della ragione, ottimismo della volontà», questo motto di Romain Rolland, reso famoso in Italia da Antonio Gramsci, ci sembra l’ispirazione migliore per il compito che attende le Acli. Non pensiamo che le analisi impietose sul declino del nostro paese siano sbagliate, ma sono inutili se non vengono completate da un impegno concreto. Gli elementi di fatto che abbiamo a disposizione non possono che spingerci verso il pessimismo. Tuttavia, è la pratica cristiana quotidiana a renderci ottimisti: stando accanto alle persone nelle città come nei piccoli centri, abbiamo capito che la ragione è un sole severo che acceca e distoglie dall’incredibile forza dell’umanità.
Le Acli sono quindi chiamate a ricucire gli strappi che si sono creati nella società, facendo fronte comune anche con le altre realtà della società civile (e sono molte) che hanno a cuore il futuro del lavoro, dell’ambiente, delle comunità e della politica. Per fare ciò è necessario mobilitare le comunità, stare assieme alle persone, uscire dalle nostre sedi scendendo per le strade.
Ancora una volta il cammino è indicato con chiarezza dalle parole di Francesco, un Papa che ci ha abituato a un linguaggio irrituale e profondo allo stesso tempo. Ai ragazzi convenuti per la Giornata Mondiale della gioventù del 2013, il Pontefice ha rivolto questo appello: “Desidero dirvi ciò che spero come conseguenza della Giornata della Gioventù: spero che ci sia chiasso. Qui ci sarà chiasso, ci sarà. Qui a Rio ci sarà chiasso, ci sarà. Però io voglio che vi facciate sentire nelle diocesi, voglio che si esca fuori, voglio che la Chiesa esca per le strade, voglio che ci difendiamo da tutto ciò che è mondanità, immobilismo, da ciò che è comodità, da ciò che è clericalismo, da tutto quello che è l’essere chiusi in noi stessi. Le parrocchie, le scuole, le istituzioni sono fatte per uscire fuori…, se non lo fanno diventano una Ong e la Chiesa non può essere una Ong. Che mi perdonino i vescovi ed i sacerdoti, se alcuni dopo vi creeranno confusione. È il consiglio. Grazie per ciò che potrete fare”.
Ecco le Acli sono chiamate a far sentire la loro voce in modo forte e chiaro laddove le cose non funzionano. Accanto a ciò bisogna continuare a intrattenere quel dialogo «a bassa voce», complice e comprensivo, con le comunità, le famiglie, le persone: ascoltare e farsi ascoltare, ecco il compito che ci dobbiamo dare. In questo impegno non possiamo che rinvenire il richiamo del messaggio evangelico più originario e autentico: ama il prossimo tuo come te stesso.
Nel proporci questo programma non ci sentiamo né soli, né disorientati. È la fede sostenuta dalla speranza che ancora e sempre guida e ispira la nostra azione. È la fede cristiana che ci mostra l’orizzonte verso cui dobbiamo tendere: una polis che è riflesso della Gerusalemme celeste. Questo anima il nostro operato, al di là di ogni possibile scoraggiamento.
Il contributo che come credenti possiamo offrire non riguarda una nuova politicizzazione della fede, operazione che abbassa quest’ultima di rango, ma il viverla radicalmente, lasciandosi vivificare da lei, trascendendo noi stessi e ogni fatuo individualismo verso un destino comune del popolo di Dio. Ciò richiede di immettere in circolo un surplus di tensione morale e di agape fraterna, che deriva da una fede che ci chiama ad essere segno di contraddizione in un mondo segnato dall’ingiustizia e dall’emarginazione, ad essere responsabili del fratello e della sorella in un contesto di intolleranza ed indifferenza, ad essere granello di senape che costruisce il Regno di Dio, che «fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra» (Marco 4, 32). Ancora e sempre riponendo il senso della vita in Cristo, che dà orientamento alle nostre esistenze, interpellandoci di continuo e non lasciandoci tranquilli, che ci chiama a camminare coi piccoli e con gli umili, che sostiene la nostra inadeguatezza, che fa pieno ciò che non riusciamo a riempire e l’orlo trabocca.
Solo una profonda e alimentata vita spirituale rafforza la fratellanza e l’empatia che affondano le radici in Cristo e nutre l’anelito al tentare che è proprio del cristiano, perché, come ha detto Papa Giovanni XXIII, «non consultarti con le tue paure, ma con le tue speranze e i tuoi sogni. Non pensate alle vostre frustrazioni, ma al vostro potenziale irrealizzato. Non preoccupatevi per ciò che avete provato e fallito, ma di ciò che vi è ancora possibile fare».
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