Quali prospettive per l'Italia emergono dagli indicatori demografici ISTAT 2023?
Aprile 2024
A marzo scorso l’ISTAT ha pubblicato i dati demografici del 2023, in parte provvisori. Si confermano le tendenze negative degli ultimi anni, con qualche novità. La sintesi dei dati generali, al 1° gennaio 2024, è questa:
- I residenti sono 58.997.000, con un calo di 7.000 persone rispetto al 2022.
- I residenti stranieri sono 5.308.000, in aumento di 166.000 unità rispetto al 2022; ora costituiscono il 9% della popolazione (ma l’11,3% al Nord, l’11,1% al Centro, solo il 4,5% nel Sud).
- I nati sono stati 379.000, con un ulteriore calo rispetto all’anno precedente; il calo è continuo dal 2013. Nel 2008 erano stati 577.000, in 15 anni vi sono 200.000 nati in meno. I nati stranieri sono 50.000, pari al 13,2%.
- Sono invece diminuiti i decessi, 661.000, tornando ai livelli pre-Covid.
- Il saldo naturale resta quindi fortemente negativo, -281.000 unità.
- È invece positivo il saldo migratorio dall’estero, pari a +274.000 unità (saldo tra iscrizioni, 416.000, e cancellazioni, -142.000).
- Da notare che la popolazione straniera è ancora cresciuta, nonostante il fatto che 200.000 stranieri, nel 2023, abbiano acquisito la cittadinanza italiana (214.000 nel 2022).
- Gli espatri italiani sono stati 108.000 (contro 55.000 rientri).
- Il calo dei decessi ha fatto aumentare la speranza di vita alla nascita, che è di 81,1 anni per gli uomini e 85,2 anni per le donne. Nel Nord i due valori diventano 81,7 per gli uomini e 85,7 per le donne.
- Il numero dei figli per donna è 1,20 (1,24 nel 2022).
- L’età media è di 46,6 anni (46,4 nel 2022).
La diminuzione della natalità
La diminuzione della natalità riguarda tutta la popolazione, italiana e straniera, ma la percentuale di nati stranieri (13,2%) è superiore alla percentuale della popolazione straniera (9%); significa che la popolazione straniera ha ancora un tasso di natalità superiore. Il tasso di natalità totale è pari al 6,4 per mille (6,7 nel 2022). Ma il calo delle nascite, dal punto di vista demografico, ha due cause ben chiare:
- Il calo della popolazione femminile in età riproduttiva (15-49 anni), scesa a 11.500.00 (contro i 13.800.00 del 2004)
- L’aumento dell’età media del primo parto, che ora è a 32,5 anni.
Di fatto, quindi, l’età riproduttiva si concentra in circa 20 anni (32-52) di vita. Naturalmente anche la popolazione maschile è diminuita: i maschi (sempre 15-49 anni) sono ora 12.000.000, contro i 13.900.000 nel 2004.
E’ evidente che la diminuzioni della natalità ha delle motivazioni sociali: la diminuzione dei matrimoni, le difficoltà del lavoro, i bassi salari, il costo della casa, la mancanza di servizi per i minori, la mancanza di sostegni per le famiglie numerose, il costo dei figli, i cambiamenti culturali. Avere un figlio è diventato un lusso che molte coppie non si possono permettere. Però il dato demografico resta cruciale: è difficile invertire la caduta demografica se diminuiscono le donne in età riproduttiva.
Per la Lombardia il numero di figli per donna è 1,21 (praticamente il dato medio nazionale) ma si alza l’età media per il parto, 32,7 anni contro 32,5.
Restano anche grandi differenze territoriali: il Trentino-Alto Adige ha il numero di figli per donna più alto, 1,42 (ma Bolzano 1,56) e la Sardegna 0,91.
Le migrazioni
I dati segnalano ancora un alto movimento migratorio interno: i trasferimenti di residenza interni sono stati 1.440.000, con ancora un saldo positivo per il Nord e negativo per il Sud. Il Mezzogiorno ha conteggiato 407.000 trasferimenti e 344.000 arrivi. Nel Nord i trasferimenti sono stati 842.000 e quelli in uscita 785.000.
Gli arrivi dall’estero sono stati 416.000, con delle modifiche rispetto al passato come nazionalità in ingresso; il 7,9% dall’Ucraina, il 7% dall’Albania, il 6% dal Bangladesh. Ridotto invece al 5,4% l’ingresso dei rumeni, che fine al 2021 era stato il flusso maggiore.
Il flusso migratorio dall’estero ha compensato quasi del tutto il calo naturale della popolazione; contribuisce a ringiovanire la struttura per età con effetti sia sulla popolazione attiva che sui livelli di fecondità.
L’immigrazione straniera ha un saldo positivo sulle fasce di età fino a 44 anni (bambini, giovani, adulti), contribuendo con 277.000 unità e portando il valore complessivo a +230.000.
Un bambino sotto i 10 anni di età per ogni ultraottantenne
La popolazione maggiore di 65 anni, composta da 14.358.000 persone, costituisce quasi un quarto della popolazione nazionale, cioè il 24,3%. Ma il dato ancora più preoccupante riguarda i “grandi anziani”, cioè le persone maggiori di 80 anni, che sono 4.554.000, un numero superiore dei minori sotto i 10 anni che sono solo 4.441.000.
Altro dato preoccupante riguarda le persone in età attiva ed i più giovani:
- è lieve la riduzione complessiva della popolazione attiva (15-64 anni), che passa da 37.472.000 (63,5% della popolazione) a 37.447.000 (sempre pari al 63% della popolazione;
- mentre i ragazzi fino a 14 anni scendono da 7.344.000 a 7.185.000 (12,2% della popolazione.
La stabilità della popolazione attiva è solo apparente perché nasconde un gigantesco sommovimento interno: le classi di età dei nati dal 1963 al 1977 (quindi, 45-49/50-54/55-59 anni), sono quelle dei boomer e superano abbondantemente le 14.000.000 unità complessive, mentre quelle 15-19/20-24/25-29 anni, le nuove classi che entrano nel mercato del lavoro, sono composte da 8.800.000 persone.
Conclusioni
Va segnalato l’abisso che c’è tra questi dati e la consapevolezza dei problemi presente a livello politico, soprattutto, ma non solo, nella attuale destra. Rappresentano problemi “epocali” ma è come non ci fossero. Non ci si pone il problema di come può sopravvivere un Paese dove aumenteranno i costi sociali per gli anziani (pensioni e assistenza sociale e sanitaria) di fronte ad una diminuzione delle forze lavoro, aggravata dal fatto che aumenta l’occupazione precaria e saltuaria del terziario. Altro che sovranismo, qui siamo all’avvio della scomparsa di un Paese.
E se fermare la caduta demografica è oggettivamente complesso, non sembra vi siano consapevolezze neppure sull’avviare interventi su alcuni aspetti concreti di sistema come:
- la crescita dell’occupazione femminile e l’occupazione dei giovani;
- l’integrazione vera degli stranieri presenti stabilmente in Italia, a partire dai giovani;
- la crescita della povertà e delle disuguaglianze sociali.
Nel Glossario della scheda ISTAT, sotto la voce “Acquisizione della cittadinanza” ci viene detto che la legge di riferimento è la n. 91 del 1992; quindi del secolo scorso. È cambiato il mondo e noi siamo stati vergognosamente fermi. Miserabilmente.
Beppe Livio, già Presidente provinciale delle Acli di Como
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