Sulle strade d’Europa, gli afghani bloccati lungo la rotta balcanica
settembre 2021
Whalid viene dall’Afghanistan, ha 32 anni e ne dimostra molti di più. «Abbiamo provato già dieci volte ad attraversare il confine» dice, seduto di fronte ad una casa in mattoni abbandonata «ma siamo stati sempre ricacciati indietro. Riproveremo presto, appena la gamba di mia sorella guarisce dalle manganellate della polizia croata». Siamo a Bosanska Bojna, un piccolo e sperduto villaggio sul confine bosniaco-croato. Il paese ospita al momento una sessantina di migranti, per lo più afghani, rifugiati tra accampamenti informali e case abbandonate nelle campagne. Si tratta soprattutto di famiglie con molti bambini al seguito: si affollano da queste parti – tra Bojna e Velika Kladusa – perché qui le montagne scollinano ed è più facile per i piccoli affrontare il “game” verso l’Europa. All’assenza di ostacoli geografici rimedia però la grande presenza delle forze di polizia croate, che pattugliano il confine aiutate da telecamere e droni, senza risparmiare la violenza nemmeno di fronte a donne e bambini.
Whalid è nato e vissuto a Kabul. È uno dei tanti afghani che sono stati costretti ad abbandonare il proprio paese e si trovano da anni in viaggio verso l’Europa lungo la Rotta Balcanica. Ha lavorato per tre anni per la Nato come traduttore e conserva copie digitalizzate di tutti i documenti che dimostrano il suo lavoro per gli occidentali e che spera potranno aiutarlo ad ottenere l’asilo in Italia. «Fortunatamente le ho caricate online» sottolinea «perché le copie cartacee sono state bruciate dalla polizia croata al secondo tentativo di attraversare il confine». È partito dall’Afghanistan 3 anni fa insieme alla sorella, minorenne, dopo che suo padre è stato ucciso dai talebani. Prima Iran, poi Turchia e infine Grecia, l’Europa. «Ho provato a fare domanda di asilo in Grecia, ma anche con i documenti che ho presentato mi è stato detto che non era possibile, dato che non ho lavorato per l’esercito greco. Temevo di essere rimandato in Turchia, così siamo partiti per la Serbia e poi, due mesi fa, siamo arrivati in Bosnia».
Gli afghani sono al momento il secondo gruppo più numeroso tra i migranti in viaggio in Bosnia, circa un terzo del totale, preceduti di poco solo dai pachistani. La situazione è critica da tempo. «La differenza tra pachistani e afghani è che i primi sono quasi tutti single man, mentre i secondi si muovono quasi solamente con le famiglie al seguito» spiega Silvia Maraone, coordinatrice per Ipsia dei progetti lungo la Rotta Balcanica. «Un altro aspetto di preoccupazione è che, della popolazione afghana in movimento, una buona parte è formata da minori non accompagnati, tra le categorie più vulnerabili».
«Non vedremo la situazione lungo la Rotta Balcanica cambiare nell’immediato» continua poi Maraone «chi si trova ora in Afghanistan e desidera scappare sta affrontando problemi enormi per lasciare il paese. La situazione è molto confusa e anche i trafficanti che si occupano di gestire queste rotte devono riorganizzarsi e rifare il listino prezzi: sarà sicuramente più costoso e quindi sempre più difficile lasciare il paese. Anche una volta usciti dall’Afghanistan stanno aumentando le difficoltà, con confini più difesi e militarizzati. Sarà sempre più difficile raggiungere fisicamente l’Europa e non credo che ci sarà un flusso di massa come quello che abbiamo visto nel 2015 dalla Siria».
Le notizie preoccupanti che arrivavano nelle scorse settimane da Kabul erano accompagnate dal rumore delle serrature che scattavano chiudendo i confini attorno alla Fortezza Europa. La Grecia ha iniziato la costruzione di un muro al confine con la Turchia e la Bulgaria ha dichiarato che supporterà il paese nella costruzione. Le dichiarazioni di Francia, Germania e Commissione Europea indicano la volontà di proseguire sulla strada dell’esternalizzazione delle frontiere europee attraverso accordi con paesi terzi, in particolare, per quanto riguarda la Rotta Balcanica, quello con la Turchia. Ankara ha però risposto da subito di non voler essere il “magazzino dei migranti” verso l’Europa e ha fatto presente che non ci si può aspettare dalla Turchia uno grosso sforzo di ammortizzazione dei flussi come quello sostenuto nel 2015. Anche in questo paese, nella provincia di Van al confine con l’Iran, è in corso la costruzione di un muro che creerà ostacoli ulteriori a chi prova ad attraversare il confine già militarizzato.
«Bisognerà capire come verranno modificati i criteri per l’accoglienza degli afghani» continua Maraone. «Fino ad oggi molti paesi europei – Germania, Svezia, Norvegia per fare degli esempi – hanno mantenuto criteri molto fiscali per garantire lo status di rifugiato agli afghani, e chi non rispettava questi criteri veniva rimpatriato». Si aspetta di capire se dati i recenti avvenimenti, l’Afghanistan verrà considerato nuovamente paese non sicuro e verranno quindi sospesi i rimpatri e sarà più semplice ottenere lo status. «Un altro tema fondamentale è cosa verrà deciso riguardo a chi è bloccato lungo la rotta balcanica, per esempio se ci sarà un ricollocamento dalla Grecia per far sì che gli afghani registrati lì e con i criteri per ottenere lo status di rifugiati potranno essere trasferiti in Europa, come succede con i siriani. E se questo succederà, bisognerà vedere se anche paesi fuori dall’Unione Europea, come la Bosnia e la Serbia, avranno la possibilità di vedere le persone uscire legalmente dopo averle registrate. In caso contrario potremmo assistere ad un flusso al contrario da questi paesi verso la Grecia».
Sulla bocca di Whalid appare una smorfia tesa e preoccupata quando parla di cosa sta succedendo in Afghanistan. Appare anche quando guarda verso il confine croato, a poche centinaia di metri dal riparo dove alloggia con altre famiglie, temendo cosa lo attende dall’altra parte. «Finora non abbiamo avuto fortuna nell’attraversare il confine, ma continueremo a provare. Dopotutto, soprattutto ora, indietro non possiamo tornare».
Tommaso Siviero, volontario in servizio civile internazionale con Ipsia a Bihac, in Bosnia
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