Le Acli e il Recovery Fund, consiglio provinciale con Luca Jahier
È stato un Consiglio provinciale speciale, con un relatore d’eccezione, quello vissuto dalle ACLI di Como lo scorso giovedì 13 maggio. La platea allargata ad un pubblico più ampio (circa una cinquantina i presenti, collegati da remoto) per approfondire un tema di stringente attualità: “Recovery Fund, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, fasce deboli e prospettive per l’associazionismo”. Prestigioso l’ospite invitato a dipanare la complessa matassa sul tavolo: Luca Jahier, presidente, fino all'ottobre 2020, del CESE, il Comitato economico e sociale europeo, l'organo dell'Unione Europea che agisce in rappresentanza delle parti sociali e delle realtà produttive dei 27 Paesi membri. Nel lungo palmares di Jahier anche un’importante esperienza alle ACLI torinesi e nazionali, il contributo alla fondazione del Forum del Terzo Settore e la presidenza del Focsiv (Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario).
Piano nazionale di ripresa e resilienza. Già il nome, in sé, è un programma che ne svela la complessità, declinata in 269 pagine fitte fitte dense di numeri, progetti. Un piano articolato in sei missioni: digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione e sociale; salute. Ambiti che prevedono un consistente pacchetto di riforme: dalla pubblica amministrazione, solo per citarne alcune; alla giustizia; alla semplificazione normativa; alla concorrenza. Il Piano fa parte del programma Next Generation Eu: il pacchetto da 750 miliardi di euro deciso dall’Unione Europea per aiutare gli Stati membri ad uscire dalla crisi generata dalla pandemia. Il Pnrr italiano prevede investimenti complessivi per 222 miliardi di euro. «Un intervento epocale» come lo ha definito Palazzo Chigi, ma soprattutto un’occasione unica e irripetibile per dare slancio, una volta per tutte, a questo nostro Paese.
Nessun “Piano Marshall”
«Non si tratta di un Piano Marshall» ha chiarito subito Jahier, sgombrando il campo da possibili similitudini con quell’European Recovery Program che fu messo in campo dagli Stati Uniti per favorire la ripresa di un’Europa sconquassata dalla Seconda guerra mondiale. «Quel Piano prevedeva l’immissione di una valanga di soldi da parte di un Paese ricco, così da mettere il vecchio continente nelle condizioni di ripartire, evitando che cadesse in mano ai comunisti. Oggi, invece, i frutti del Recovery Fund sono risorse degli Stati dell’Unione, che essi stessi hanno deciso di condividere. Sono, insomma, soldi nostri, alcuni dei quali andranno ad aumentare il nostro debito».
Nessun regalo, dunque, ma il segno di un’Europa che ha compreso come solo insieme si possa uscire dalla crisi. «Attenzione - ha aggiunto l’ex presidente del CESE - a non confondere il Recovery con una mera lista della spesa. Non si sta parlando di sostanziose pezze necessarie per aggiustare qualcosa che il Covid ha “rotto”, quanto di un piano di ripresa e resilienza, di investimenti senza precedenti, che serviranno per gettare le basi dell’Europa del futuro».
L’occasione della “svolta”
«Starà agli Stati membri dell’Unione portare avanti questo Piano – ha proseguito Luca Jahier –. Ciascuno dovrà saper cogliere l’occasione della crisi per “svoltare” rispetto a tante rigidità, sofferenze, debolezze, e accelerare verso il futuro. Ma sia chiaro: servirà da parte di tutti un deciso cambio di passo. Oggi l’Europa ci dice che la condizione per ottenere i soldi promessi è un piano preciso di riforme, inserite nelle quasi 300 pagine e 1500 schede che abbiamo inviato a Bruxelles, che siamo chiamati a realizzare senza se e senza ma. Riforme che il nostro Paese attende ormai da 25 anni. Dalla giustizia civile, alla politica fiscale, alla necessità di sfoltire quell’intricato groviglio di norme amministrative che bloccano ogni cosa, alle sfide della transizione energetica, del digitale… L’Italia si troverà davanti una manovra “monstre” da quasi 300 miliardi di euro di cui il 60% dovrà essere speso e impegnato entro i prossimi due anni e mezzo, con una disponibilità economica pari a quattro volte rispetto a quanto di solito il nostro Paese riceveva dall’Unione europea».
Capacità di spesa
«Per usare questo denaro dovremo superare un problema di capacità di spesa che caratterizza il nostro Paese, difficoltà legata ad un surplus di norme spesso in conflitto tra loro che rallentano, bloccano, fermano lo sviluppo. Perché in Gran Bretagna, ad esempio, bastano 24 ore per avviare un’impresa, mentre in Italia ci vuole un anno? Servono poche regole, ben congeniate, con strumenti rapidi per garantirne l’applicazione e pene sicure a chi sgarra. Ma a penalizzarci è stata, fino ad oggi, anche la mancanza di una sana cooperazione tra le diverse realtà del territorio, dalle periferiche alle centrali. Ecco perché da subito dovremo dotarci degli uomini, degli strumenti, delle procedure, delle abitudini mentali giuste per poter realmente spendere quanto ci è stato destinato e investire sul futuro. C’è materia, insomma, per rimboccarsi tutti le maniche, con la consapevolezza che un’occasione come questa non si ripresenterà. E se funzionerà la logica che ha sotteso la stesura del Recovery – la scelta di far debito comune tra gli Stati membri dell’Ue, di agire attraverso iniziative condivise – ecco che questa modalità, oggi straordinaria, frutto di una situazione di emergenza, potrà diventare la norma».
La responsabilità dell’Italia
«Il nostro Paese ha una responsabilità enorme perché questo straordinario disegno europeo abbia successo – ha continuato Jahier -. Dovremo tutti superare divisioni di parte e guardare al bene comune, stringendo alleanze, attivando sinergie. Se non ce la farà l’Italia, a cui spetta la fetta più consistente di risorse (221 miliardi di euro), se non ce la farà la Spagna, a cui ne arriveranno circa 100, sarà l’intera Europa a fallire. Ecco perché dobbiamo crederci. Il successo del nostro Piano aprirà le porte ad un’Europa capace di politiche fiscali, sociali, economiche condivise; un’Europa in grado di mettere in comune ciò che conta, un’Europa solidale, sostenibile, che avrà saputo passare dall’economia dello spreco all’economia circolare. L’Italia, da parte sua, giocherà la sua credibilità su una capacità organizzativa che dovrà essere all’altezza, perché per la prima volta i soldi non ci verranno dati sul rendiconto di fatture ma alla dimostrazione che la spesa ha prodotto i risultati attesi. E questa è una sfida grande, anche per il mondo Terzo Settore».
A tirare le fila della serata, dopo una veloce carrellata di interventi, Emanuele Cantaluppi, presidente provinciale delle Acli: «Facciamo tesoro delle parole di questa sera, per contribuire anche noi, come Acli, a costruire l’Europa del futuro. E la strada è una sola: prendendosi cura degli altri, con sobrietà e spirito di solidarietà, sporcandoci le mani tutti insieme, ogni giorno».
Marco Gatti, giornalista
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