Con Giovanni Bianchi: radici, percorsi, sguardi per il futuro
Luglio 2022
Appunti e riflessioni intorno a un convegno delle Acli Lombarde. È cominciato un percorso ed è stato ripreso un cammino. Il convegno che le Acli della Lombardia hanno dedicato a Giovanni Bianchi, sabato 25 giugno, associandosi le Acli Milanesi e la Sede nazionale del Movimento, ha nel manifesto di convocazione l’intenzione e la prospettiva: l’occhiello suona “Radici, vocazione, sguardi e progetti nei percorsi di Giovanni Bianchi”; il titolo traccia l’orizzonte: “Un pensiero per la democrazia”. Voci e volti si possono rintracciare, per ora nella versione della diretta tv grezza, e da completare con alcuni contributi, sul canale YouTube delle Acli Lombarde, all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=ZbbYdSRmdA4.
Superato il tempo dei ricordi e dell’emozione, aperto quello della memoria, si tratta ora di dar vita allo sviluppo di quel pensiero prendendo atto, in primo luogo, e poi puntualizzando, che i percorsi di Giovanni sono stati di vita e di cultura, di testimonianza e di sguardo politico anche operativo, tracciati dal sociale e nel campo della teologia come in quello della spiritualità. Poesia e narrativa, in romanzi e racconti, sono il substrato di intuizione e, spesso, l’appunto sintetico di un nucleo di pensiero o di un problema.
Noi. In enigmate
Il tempo che ci accompagna e ci interroga, dopo cinque anni da che non possiamo più avere Giovanni visibilmente al nostro fianco, è un tempo che il progredire di quel pensiero aveva traguardato col consueto anticipo. Mentre ci interroghiamo su quali siano le giuste contrarie allo svilirsi della partecipazione politica, tanto istituzionale (sino al ritrarsi dal gesto elettorale) quanto di aggregazione in una vita dei partiti che avrebbero dovuto essere “la democrazia che si organizza”, abbiamo – ad esempio – la possibilità di risalire alle riflessioni di un remoto paragrafo dell’ “Introduzione alla Sociologia politica” (1975) che nel titolo suonava, interrogativamente, “Verso una democrazia senza demos?”, e che già paventava un “governare da sopra e dall’alto” – secondo altre parole, da un intervento televisivo (1983), proiettato nel convegno – pur essendo remoti, allora, gli orizzonti della globalizzazione e della sua prima crisi, che ci è contemporanea.
Non meno lontani sono i primi abbozzi su come incarnare la testimonianza cristiana secondo modalità associate e pubbliche; le prime annotazioni scritte si rinvengono nell’intervento di Giovanni al Congresso nazionale aclista del 1972, a Cagliari, che già orientava al superamento non solo dell’appartenenza cattolica ma anche della mera “ispirazione cristiana”; e ancora sono nell‘introduzione e nella cura d’un volume – “Dio in pubblico” – edito nell’aurea collana del Giornale di teologia, inventata e diretta da Rosino Gibellini per Queriniana; e poi transitano ai temi della vocazione, come campo in cui distendere l’azione del Movimento aclista, formulati nei periodi della presidenza nazionale di Giovanni, ed anche e prima e oltre, nelle riflessioni collettive di “Baillame” (rivista) e di quei Circoli Dossetti che hanno come palchetto e sottotitolo “Eremo e metropoli”.
In più occasioni inoltre la realtà associativa di radice cristiana del nostro Paese, portata al confronto con quella francese, aveva condotto a rimarcare – come si legge nell’ “Introduzione” ad un volume di Camunia di molti, molti anni or sono – le differenze con il fatto ed il rischio di un “cattolicesimo anonimo” perché “da noi” movimenti ed esperienze sociali, anche di massa o comunque con numeri rilevanti, garantivano presenza e riconoscibilità di un “esserci” cristiano nel sociale. Per altro questa situazione è stata rimarcata come reale anche nell’oggi, in sede di convegno, da una valutazione, datata sin nel post-pandemia e formulata da Romano Prodi in una video-intervista.
Quello che a noi tocca, su questo fronte – e che conduce ad una rivisitazione e alla ripresa del percorso interpretativo di Giovanni Bianchi – è piuttosto uno scoprirci figli di un cristianesimo in enigmate, in cui vediamo e “ci” vediamo “confusamente”, come in uno di quegli specchi della tipologia in uso ai tempi di Saulo/Paolo di Tarso, al quale siamo debitori di tanto concetto/immagine: in enigmate, appunto. Da questi e anche da più saldi livelli di problematizzazione hanno mosso le loro riflessioni, il 25 giugno, Salvatore Natoli, docente di filosofia teoretica e Virginio Colmegna, Presidente della casa della Carità, di Giovanni amici, sodali e “contubernali” – il termine è inconsueto, la sostanza estremamente puntuale – in lunghi percorsi di vita e di ricerca.
Una generazione: tra il Christus aeternum e il Christus caritas
Salvatore Natoli ha fondato un “un ragionamento” tra luoghi minerari e avvenire, dichiarando di collocarsi nel tempo, ovvero in quella che è la condizione umana “sino a quando ci sarà potenza di ricordare”. Ripensare a Giovanni e alla generazione sbocciata negli anni del Concilio significa – ha affermato – collocare quelle vite tra rinnovamento della Chiesa e una apertura al moderno che si proponeva di evitare il trascinamento del moderno stesso. Una dinamica dei fatti andata oltre quella visione e quello schema ha finito però per determinare una secolarizzazione che ha trascinato poi quella generazione; il tentativo ha avuto esiti ma non tutti quelli che erano attesi, al punto che, oggi, dimensione della fede e messaggio della Chiesa paiono configurare prospettive diverse: la figura del Christus aeternum, il risorto, tende vieppiù a evaporare o almeno cambia di dimensione, di atmosfera, mentre nell’ambito del messaggio della Chiesa, il Christus caritas tende sempre più a diffondersi, a conquistare spazio, a operare.
Non molti, insomma, ancora credono o si interrogano sull’immortalità dell’anima, ma tanti sono persuasi, convinti della dedizione ai poveri: quasi il Cristo vivente significhi fare, ovvero scegliere di tentar di fare, qui ed ora, quello che ha fatto lui. In Giovanni Bianchi c’erano invece tutt’e due le dimensioni: in lui l’elemento spirituale, ovvero la fede era un elemento determinante e motivava la sua azione. L’elemento germinante era la fede, la dimensione dell’ulteriore, del mistero: per un uomo costituito nell’oltre. Questo era, per Giovanni, la figura dell’eremo: un luogo della decantazione dalle malattie del mondo, dal mero presente… Un ritrarsi – ha proseguito Natoli – una epochè da cui esercitare una critica sul contingente ed i suoi fondamenti. Eremo non come separazione ma come prossimità da fuori. Il riconoscimento del concetto del moderno come emancipazione, infatti, impone, in quella visione germinale di una generazione tutta, anche la critica del moderno come accelerazione passiva e come appiattimento sul presente; il consumo del presente è infatti il vocabolario, la grammatica della modernità.
Ed in questo senso Giuseppe Dossetti è necessario – dalla rottura con De Gasperi – e diventa importante per Giovanni. Dossetti, accertata l’impossibilità di riformare il partito della DC come cristiano, perché la società non è più cristiana delinea e pratica la necessità di risalire alle fonti, all’eremo... L’elemento spirituale come elemento costante di emendazione che consente di stare nel moderno senza esserne amalgamati. Questo il percorso di Giovanni Bianchi, compiuto dentro una generazione, in generale, e dentro un gruppo; di qui sorgono – ciò che una sintesi può solo citare in titolo – l’affermazione sull’asse tra spiritualità e politica, in un contesto di crisi dei partiti. Di qui l’approccio per una nuova elaborazione di un laburismo cristiano… In un contesto in cui in cui, per la Chiesa e per il mondo – l’enciclica “Laudato sì” di Francesco riapre la voce del Concilio. Calare Giovanni nella fase storica che stiamo vivendo, per non smarrire la dimensione della sua testimonianza sempre colma di futuro: per questo così preziosa.
Come Giovanni è entrato “nelle fibre della mia vita”.
I modi esperienziali di questo procedere di pensiero ed azione hanno portato un commosso don Virginio Colmegna a testimoniare, in primo luogo “come Giovanni è entrato nelle fibre della mia vita”. “Non un ricordo da archiviare” – ha proseguito don Virginio – “ma una realtà da conoscere in quella dimensione di spiritualità che ne hanno fatto un dono”. Il cristianesimo di Giovanni è stato vissuto sul territorio e tra le mura domestiche, in una casa ospitale, in una famiglia, con Silvia, con Sara, con Davide ma con una continua presenza di amici, ospiti, di presenze a tavola e in un lavorio continuo di pensiero. La mitezza stessa di Giovanni è stata una costante – nel dire di don Virginio – rispetto al suo stare nella società, nelle relazioni, custodite con cura… ospitali: nella pace del rivedersi…
Giovanni proprio perché credente ha trovato nelle beatitudini evangeliche la misura che ha scandito il ritmo operoso della sua azione… Proprio perché credente è stato un politico amante della politica con l’iniziale maiuscola innervata con l’ascolto del pensiero amico. È stata questa modalità della politica come scelta improntata sempre alla spiritualità, in avvicinamento al pensiero dossettiano, che ha condotto Giovanni, con don Tonino, in viaggio a Mostar nel contesto d’una guerra e di un genocidio, dimostrando con i fatti – e fondando per via teorica – una “non violenza” che non è pacifismo, ma azione. Non a caso un’altra responsabilità che lo portò lontano ad ampliare la sua visione di mondialità, fu l’impegno per la riduzione del debito ai Paesi poveri. Possiamo ben dire – ha concluso don Virginio – che il pensiero di Papa Francesco palpita nel pensiero e nella testimonianza di Giovanni: nel suo orizzonte di grandi potenzialità che Giovanni raccontava e faceva vibrare dentro di sé con intelligenza poetica …
In questa passione politica sta il suo essere aclista, ed aclista “sui generis”. Per questo innovatore. Così intellettuale vero che non ha rinunciato ad attraversare una pluralità di visioni pur essendo capace di mantenere quegli ancoraggi, con riflessione evangeliche forti che danno ora radice ad una passione sinodale … Un teologo laico consonante con Chenu, amico e lettore del cardinal Martini che incontrandolo per l’ultima volta all’ Aloisianum di Gallarate gli disse: “Grazie Giovanni, hai interpretato il mio pensiero meglio di me stesso”. Era da poco stato pubblicato il suo testo “Martini politico e la laicità dei cristiani”.
…E percorsi da proseguire
Dentro questi sfondi di senso si sono collocati i contributi ed i relatori di tutto il convegno: da Martino Troncatti presidente regionale delle Acli a Silvia Barbanti, moglie di Giovanni e sua testimone, ora, anche attraverso il lavoro dei Circoli Dossetti; da Andrea Villa presidente delle Acli milanesi alla “radiocronaca” intorno a materiali televisivi (colpa di chi annota ora queste righe) che hanno riportato a specchio interventi video di Giovanni e di Romano Prodi, sino al dialogo tra il presidente nazionale delle Acli, Emiliano Manfredonia, e l’accompagnatore spirituale del Movimento aclista, padre Giacomo Costa s.j., che hanno mosso i loro pensieri riportando i fili tra i temi del Concilio e le problematiche del Sinodo nei nostri giorni: proprio perché il pensiero di Giovanni Bianchi non sta alle spalle ma ci precede nel futuro e ci attira a sé.
Renzo Salvi, presidente Amici della Cittadella (Assisi)
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