Il "no" alle armi di Papa Francesco
Marzo 2025
Anche le Acli di Como si uniscono nella preghiera e nell’augurio di una pronta guarigione di PAPA FRANCESCO, affinché possa continuare a guidarci con il suo spirito di fraternità, luce ispiratrice per tutti noi.
Siamo sempre stati vicini al Santo Padre, che ha caratterizzato un Pontificato promuovendo una Chiesa in uscita, che va incontro ai poveri, ai malati, agli esclusi. Una Chiesa che non si limita a rinchiudersi nei propri confini esprimendo giudizi e proclami, ma che ci dona una visione del mondo in cui i valori evangelici sono la chiave per affrontare le sfide globali del nostro tempo.
Sin dal primo momento in cui è salito sul Soglio di Pietro, Papa Francesco ha sempre parlato di preghiera, di dialogo e di punti di incontro, pronunciato il “NO” agli armamenti, al loro commercio, a un mercato che va sempre più fiorendo laddove marcisce la vita di intere popolazioni.
Un “no” che risuona ancora potente - seppur in un momento in cui da molti giorni non si ascolta la voce del Papa - alla luce degli attuali piani di riarmo dell’Europa annunciati dalla presidenza della Commissione UE, Ursula Von der Leyen.
Papa Francesco ha iniziato con la Evangelii gaudium, l’esortazione apostolica che dal 2014 ha tracciato il piano del suo magistero, a stigmatizzare quei “meccanismi dell’economia attuale” che “promuovono un’esasperazione del consumo”. E questo “consumismo sfrenato, unito all’inequità”, scriveva, “danneggia doppiamente il tessuto sociale. In tal modo la disparità sociale genera prima o poi una violenza che la corsa agli armamenti non risolve né risolverà mai” ma “serve solo a cercare di ingannare coloro che reclamano maggiore sicurezza, come se oggi non sapessimo che le armi e la repressione violenta, invece di apportare soluzioni, creano nuovi e peggiori conflitti”.
Nello stesso anno, Francesco condensava in una espressione, sempre poi ripetuta, l’emergenza di quest’epoca: “La terza guerra mondiale” combattuta “a pezzi”. Una denuncia che oggi si può osservare come profetica, considerando il fatto che è stata pronunciata quasi un decennio prima della invasione russa all’Ucraina e la deflagrazione di nuove violenze nella Striscia di Gaza.
“Ci sono sistemi economici – affermava il Pontefice in quello stesso discorso - che per sopravvivere devono fare la guerra. Allora si fabbricano e si vendono armi e così i bilanci delle economie che sacrificano l’uomo ai piedi dell’idolo del denaro ovviamente vengono sanati. E non si pensa ai bambini affamati nei campi profughi, non si pensa ai dislocamenti forzati, non si pensa alle case distrutte, non si pensa neppure a tante vite spezzate”.
Negli anni successivi, il Papa non ha mutato il suo pensiero ma, anzi, lo ha acuito e rinvigorito, alla luce delle notizie provenienti dall’est-Europa e dalla polveriera mediorientale.
Pensiero che ha preso la forma di una proposta concreta, presentata agli occhi dei responsabili delle nazioni nel suo discorso alla Cop28 del 2023 a Dubai:
“Quante energie sta disperdendo l’umanità nelle tante guerre in corso…conflitti che non risolveranno i problemi, ma li aumenteranno! Quante risorse sprecate negli armamenti, che distruggono vite e rovinano la casa comune! Rilancio una proposta: con il denaro che si impiega nelle armi e in altre spese militari costituiamo un Fondo mondiale per eliminare finalmente la fame”.
La stessa proposta è tornata nella Spes non confundit, la bolla di indizione del Giubileo 2025, come iniziativa concreta da sviluppare durante l’Anno Santo insieme all’abolizione della pena di morte, il condono del debito per i Paesi poveri e il far tacere – appunto – definitivamente le armi.
Le occasioni di pronunciazione contro armi e riarmi non sono mai mancate durante gli interventi pubblici, gli atti magisteriali, gli appelli e i messaggi, i viaggi apostolici internazionali dove ha fatto risuonare più di ogni altro il suo “no” alle armi, diventato anche monito per tutti, a partire dai Capi di Stato.
E non si dimentica anche quanto affermato dal Papa dinanzi alle autorità di Malta, nel viaggio del 2022: “Ci siamo abituati a pensare con la logica della guerra. Da qui comincia a soffiare il vento gelido della guerra, che anche stavolta è stato alimentato negli anni. Sì, la guerra si è preparata da tempo con grandi investimenti e commerci di armi. Con le armi si fa la guerra, non la pace, e con l’avidità di potere sempre si torna al passato, non si costruisce il futuro”.
Attingendo alla storia e in particolare a quella dell’Europa che ha cercato di lasciarsi alle spalle divisioni, contrasti e guerre, causate da “nazionalismi esasperati” e “ideologie perniciose”, Papa Francesco, meno di un anno fa, con i rappresentanti politici e civili del Lussemburgo condivideva la tristezza per il fatto che oggi nei Paesi del Vecchio Continente “gli investimenti che danno più reddito sono quelli delle fabbriche delle armi. È molto triste”.
E se la remuneratività degli investimenti suscita tristezza, provoca invece sdegno il fatto che a investire siano le stesse nazioni che si fanno promulgatrici di appelli e convegni di pace. È un “grave peccato di ipocrisia” sottolineava Papa Francesco “nei convegni internazionali, nelle riunioni, tanti Paesi parlano di pace e poi vendono le armi ai Paesi che sono in guerra”.
Parole attuali allora, attuali oggi e attuali per tutti gli anni a venire. Parole che come Acli facciamo proprie.
Nel comunicato nazionale, alla luce del “Rearm Europe”, le ACLI hanno espresso una forte preoccupazione e contrarietà per le recenti dichiarazioni della Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, sull’ipotesi di destinare fino a 800 miliardi di euro al rafforzamento delle capacità difensive europee. Un simile approccio rischia di alimentare una corsa al riarmo nazionale, allontanandoci dall’originaria vocazione dell’Unione.
“NO al riarmo dei singoli Stati e a una logica puramente militarista, ma lavorare per costruire una politica estera e di difesa comune, basata sulla cooperazione e su una strategia condivisa, sulla coesione, superando la frammentazione, capace di affrontare le sfide globali attraverso il dialogo e la diplomazia”. – afferma il Presidente Manfredonia- “Le risorse economiche devono essere investite in strumenti di prevenzione dei conflitti, cooperazione internazionale e sviluppo sostenibile. La sicurezza non può dipendere da una dissennata corsa al riarmo, ma deve fondarsi su un grande piano di investimenti su educazione, welfare, protezione sociale, lotta alle disuguaglianze e opportunità per le nuove generazioni, come era previsto nel Next Generation EU”.
Le ACLI chiedono alle istituzioni europee di superare la frammentazione e di lavorare per un’Europa più coesa, capace di affrontare le sfide globali attraverso il dialogo e la diplomazia. Le ACLI e i popoli europei sognano gli Stati Uniti d’Europa, non gli Stati armati d’Europa.
Un’Europa più forte non è quella che affida il suo futuro al riarmo dissennato, ma quella che continua a costruire democraticamente il progetto di pace e coesione per la quale è nata e che tanto può offrire al mondo in guerra.
L’unico vero piano, l’unico realistico appello da lanciare oggi, al posto di «Rearm Europe», non dovrebbe piuttosto essere «Peace for Europe»?
E allora lo chiediamo facendo nostre le parole del Papa che dalla stanza del Policlinico Gemelli domenica scorsa ha detto: «Prego soprattutto per la pace. Da qui la guerra appare ancora più assurda»
Marina Consonno, Presidente Acli Como Aps
Recapiti ACLI Como
Via Brambilla 35, 22100 Como
Tel: 031 33 127 11
E-mail: como@acli.it
Orari
Lunedì - Venerdì
9.00 - 12.30 / 14.00 - 16.00
Si riceve su appuntamento