Se vuoi la pace prepara la pace
Aprile 2022
“Dove vivete voi occidentali? Tutti sanno che il Caucaso tornerà a ballare. Putin vuole tenerlo sotto controllo e gli americani vogliono metterci le basi militari. In più c’è il petrolio del Caspio… Veda lei… Mi pare che basti e avanzi”. Poi aggiunge: “Noi la sentiamo benissimo la tensione. Qui passa la vera frontiera fra Est e Ovest”. Mi chiede se so cosa vuol dire Ucraina, e io gli rispondo che le so eccome: vuol dire frontiera. Anche in Croazia c’era una Krajina - una fascia di frontiera a maggioranza serba - che nel 1991, fomentata da Belgrado, infiammò l’intera Jugoslavia. “Benissimo, risponde lui, “vedo che ha capito. Se l’Ucraina smette di essere quello che è stata per secoli, cioè confine cuscinetto, per entrare in un’alleanza occidentale, succede il putiferio. Il paese, che è filorusso a oriente, si spezza in due e allora Mosca interviene. Del Caucaso non parliamo nemmeno. Stalin lo ha riempito di enclave, mine etniche per seminare zizzania e facilitare il controllo di Mosca, e Putin può incendiarle in qualsiasi momento.”
Questo è un brano tratto dal libro “Trans Europa express” del 2011 di Paolo Rumiz, in cui un interlocutore dello scrittore giornalista, uno dei più attenti negli ultimi anni delle vicende nelle terre a Est, in poche frasi sintetizza bene la situazione di questi paesi a ridosso della Russia e un tempo insieme Unione Sovietica. A partire dalla ex Jugoslavia, con le sue guerre fratricide, ma anche in molte altre parti del mondo, tante sono le zone che per motivi storici sono abitate da un mix di popolazioni che si sono dovute spostare per tanti motivi e ora convivono e si sono mescolate con le persone che hanno incontrato, e che abitano nei territori di confine in cui si sono stabilite. Far leva su queste differenze e su un certo modo di vivere la propria identità come contrapposizione a quella degli altri è ciò che va nella direzione di preparare nuovi conflitti e divisioni, con conseguenze gravissime, sia per le popolazioni che le subiscono sia per il futuro delle generazioni che verranno.
Questo, è da sottolineare, a beneficio, non certo di chi vive quotidianamente queste tensioni, ma unicamente di coloro che soffiano sul fuoco e traggono vantaggio dalle divisioni, a favore di quelle classi dirigenti che per continuare a restare in auge hanno bisogno di creare consenso, in quanto leader di una parte pura, da contrapporre alle altre. Cercare di creare ponti tra le persone e valorizzare la realtà di chi vede già mescolate le diverse popolazioni è invece quello che può dar luogo a convivenze e a periodi di pace duraturi e stabili, in cui la “convivialità delle differenze” sia un valore aggiunto al vivere insieme delle persone.
Noi volontari nella ex Jugoslavia abbiamo visto, nei viaggi che abbiamo intrapreso in Bosnia, quello che è accaduto e quale caos e instabilità ancora persistono in questo Paese, in termini di instabilità e di continuo essere sull’orlo di un precipizio verso la guerra.
“Se vuoi la pace prepara la pace”, questa è la frase che sento di condividere in questo momento. La pace non si prepara con la corsa agli armamenti, il Papa in questi giorni ha ripetuto più volte che questa guerra è stata sostenuta con la spesa, via via più elevata, per nuove e sofisticate armi, ed è una follia pensare che la deterrenza di armi serva a garanzia della pace. Perché poi quando uno di questi attori, che detiene armi, inizia ad usarle, contrapporsi con le stesse armi può degenerare in qualcosa di non più controllabile mettendo a forte rischio parte, se non tutta, l’umanità.
La situazione in Ucraina è molto grave per tanti motivi, perché sono belligeranti nazioni con forti armamenti, perché potrebbe allargarsi a tante altre nazioni e perché gli stati coinvolti sono detentori di atomiche. Da un anno è entrato in vigore il Trattato per la proibizione delle armi nucleari e l’Italia non vi ha ancora aderito, chiediamo fortemente che lo faccia. Ma prima di tutto la guerra è da abolire per chi la sta vivendo, per tutti i civili ucraini che la stanno subendo, sotto le bombe, patendo la violenza degli invasori che, man mano la guerra prosegue, si sta facendo sempre più efferata e brutale. Civili costretti a fuggire e lasciare i loro cari, le loro case, le loro sicurezze.
La guerra è da rinnegare anche per tutti i militari che sono costretti a farla e per tutti coloro che non la fanno disobbedendo e subiscono quindi le ritorsioni inflitte dalle leggi dei loro Stati. Compito dei pacifisti è quello di continuare a preparare la pace, e la pace si prepara prima di essere nel baratro della guerra, con interventi nelle scuole, nella società, con manifestazioni per proclamare la pace, con l’educazione, con l’accoglienza dei profughi e adesso, con la ferma condanna dell’invasione russa in Ucraina, con la solidarietà concreta al popolo ucraino e l’invio di soldi, cibo e tutto quello che può servire per l’aiuto umanitario.
Compito dell’Italia e dell’Europa è quello di tirarsi fuori da una logica che vede nella continua corsa agli armamenti l’unica possibilità di non far nascere altre guerre e di fermare quelle in corso. La negoziazione su tutto è ciò che si deve cercare in tutti i modi perché si arrivi a far cessare le armi, all’apertura di corridoi umanitari e al rispetto dei diritti umani e delle minoranze. L’Italia e l’Europa devono mettersi in gioco formando un fronte comune dal punto di vista della politica, del negoziato e della diplomazia perché lo devono anche alla loro storia: è sulle nostre terre che sono sorti i fascismi e i nazionalismi che hanno purtroppo dato la morte nello scorso secolo a milioni di persone.
Perché siano credibili nell’essere mediatori capaci di parlare a tutti i contendenti in tutti i conflitti, dovrebbero spogliarsi, come fece san Francesco, di tutte le certezze e di tutti gli agi di cui dispongono, solo in questo modo potranno andare a dialogare e a farsi operatori di pace. Solo uscendo dalle logiche degli armamenti e degli eserciti per entrare in nuovi percorsi, per esempio di corpi di pace di interposizione, diversificando i fornitori di energia e quindi non dipendendo in maniera unilaterale da qualche paese, uscendo da logiche di blocchi contrapposti, retaggio di passate contrapposizioni e lavorando perché l’ONU diventi veramente quell’organo che favorisce il dialogo fra le nazioni senza veti dei potenti, l’Italia e l’Europa diventeranno credibili interlocutori per la Pace nelle prossime situazioni di conflitto.
Roberto Caspani, Presidente Coordinamento Comasco per la Pace e consigliere provinciale Acli Como
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