Una ripresa che non lasci indietro nessuno
Luglio 2021
È complicato riflettere sulla crescita economica e sociale della nostra provincia senza collocarla in un contesto, che non è solo quello dei nuovi equilibri mondiali che incidono anche su di noi, ma è quello delle maggiori prossimità, di ciò che ci sta molto vicino e ci condiziona.
Allora, in termini molto generali, ci sono almeno due “prossimità” che influenzano, in termini positivi rispetto alla ricchezza delle famiglie, in termini più complessi invece rispetto al sistema economico.
E sono dati dal nostro essere provincia di frontiera e territorio integrato nell’area metropolitana milanese.
Il frontalierato ed il pendolarismo verso Milano contribuiscono alla ricchezza delle nostre famiglie, ma hanno anche altri effetti, sul sistema economico comasco. Sono, detto molto semplicemente, due sistemi concorrenziali forti, che attraggono forza lavoro e competenze:
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Il frontalierato, perché la sola differenza salariale tra gli stipendi italiani e ticinesi, aumenta l’attrattività per lavoratori che non sono più, a differenza del passato, solo operai, muratori e commesse, ma anche tecnici, funzionari e dirigenti.
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L’area metropolitana di Milano perché attrae inevitabilmente i giovani laureati e le persone con maggiori competenze. È un pezzo di emigrazione di prossimità. I nostri giovani laureati trovano lavoro solo a Milano.
Quindi, cosa ha offerto finora il territorio comasco in termini di opportunità di lavoro e cosa potrà offrire nel futuro?
È una domanda che prende atto della conclusione, avvenuto ormai da almeno un decennio, dell’esperienza emblematica dei distretti industriali, che hanno connotato la storia del lavoro a Como: il distretto tessile comasco, il distretto legno-arredo comasco milanese, il distretto “diffuso” metalmeccanico.
I distretti sono stati un acceleratore dello sviluppo ed il luogo di valorizzazione delle competenze tecniche professionali legate alla manualità ed alla gestione dei processi produttivi. C’era posto per tutti, bastava avere l’etica del lavoro e la voglia di impresa. Le barriere di accesso erano basse ed anzi, la diffusione pervasiva delle singole competenze presenti nei processi produttivi di settore, sia nel tessile che nel legno-arredo, è stato un punto di forza prezioso, perché distribuiva il rischio e produceva “efficienza produttiva”.
Questo modello è entrato in crisi. Perché le dinamiche internazionali hanno mutato i fattori competitivi e perché sono cambiate le competenze delle nuove leve del lavoro, sempre più scolarizzate.
Ma anche i distretti si sono riorganizzati, riuscendo a rimanere competitivi quando sono state ricostruite in modo nuovo, attorno a imprese pivot, le fasi prima frantumate dei processi produttivi. Anche per i distretti le scelte, indispensabili, per lo sviluppo sono la crescita degli investimenti in ICT e R&S, le soluzioni industria 4.0, l’uso di energie rinnovabili. Per tutti i distretti, ma con l’eccezione pesante di quelli del Sistema Moda, che comprende il tessile comasco.
Di fronte alle concorrenze di prossimità, il Canton Ticino e Milano, ed a quella delle reti lunghe per le risorse più ricche di competenze, Como si è impoverita. I giovani migliori sono andati all’estero, molte competenze medie e superiori sono state prese dal Ticino e da Milano.
Di fronte alla perdita di competitività della manifattura, il terziario turistico e commerciale è apparso come la via per un nuovo possibile sviluppo. Il turismo di ricchi stranieri ed il commercio della rete corta, transfrontaliera. Così l’esplosione avvenuta dei B&B, passati in pochi anni, soprattutto nella città, da poche offerte isolate ad una offerta esorbitante, e la crescita dei centri di vendita al servizio dei ticinesi.
In termini di mercato del lavoro, nella nostra provincia, nel corso dei decenni, si è passati dell’offerta di contratti a tempo indeterminato, tipici del manifatturiero, ai contratti precari, tipici per i ritmi di lavoro del terziario commerciale, dei servizi di accoglienza e della ristorazione. Per i giovani e le donne.
Ma ci sono altri aspetti da mettere in evidenza, e sono l’evoluzione demografica e l’aumento della scolarità “liceale”. Da una parte le classi di età giovanili si sono progressivamente ridotte (ed una loro minore caduta è stata resa possibile solo dalle famiglie straniere), dall’altro il prevalere dell’istruzione liceale ha fatto disperdere l’offerta di competenze tecniche che era stata parte integrante dello sviluppo del sistema manifatturiero provinciale.
Si tratta ora di valutare, dopo l'esperienza della pandemia, come ricostruire un nuovo modello di crescita. Dal punto di vista delle risorse umane le questioni sono due: la prima è quella di mettere fine all’esclusione dal lavoro dei giovani e delle donne: risorse umane abbandonate e maltrattate. La seconda è capire, e decidere, se si intenda essere terra di attrazione di nuove risorse oppure no. Nuove risorse vogliono dire giovani di elevate competenze e i “lavoratori della conoscenza”.
Ma, a Como c’è una domanda di lavoro per le figure high-skill? Ci sono delle istituzioni in grado di guidare questa evoluzione? Si possono utilizzare le occasioni poste del PNRR?
Per le istituzioni non sembra proprio: la PA è un fattore di competitività fondamentale ma non in Italia e men che meno a Como. C’è qualche possibilità di immettere giovani competenze, che abbiano conoscenze avanzate sulle nuove tecnologie e su processi complessi, nelle istituzioni comasche? Negli enti locali e nelle sedi provinciali delle istituzioni centrali?
Quali offerte possiamo fare nei prossimi anni ai giovani ed alle donne? Le indagini Excelsior non confortano molto. La domanda di lavoro del sistema economico della nostra provincia è ancora tradizionale e riguarda figure operative nell’industria e nel terziario. Ma le imprese, soprattutto nell’industria e per molti ruoli, denunciano un alto tasso di “mancanza di offerta” con le competenze richieste.
Ed il ruolo delle imprese e delle organizzazioni sindacale quale sarà? Il problema è solo quello del blocco o della riapertura della possibilità dei licenziamenti? Quando, ormai, chi era meno protetto ed aveva un contratto precario, da tempo ha perso il proprio lavoro od il proprio reddito.
Si può combattere la disuguaglianza che è aumentata con la pandemia e ricostruire un livello accettabile di tutele (e di salario) per i giovani?
Ed il problema della ripresa? Un sistema fondato in gran parte su piccole imprese personali, è in grado di avere le risorse economiche e di competenze per “riprendere” la crescita? Riprendere, ma cambiando direzione ed affrontando le sfide nuove, sulla digitalizzazione, sulle catene di fornitura, sulle nuove conoscenze, sulle nuove forme di distribuzione, sui cambiamenti dei bisogni e dei consumi delle persone.
E in questo passaggio, possono avere un ruolo le forze sociali e, in genere, il terzo settore, quello della prossimità e della sussidiarietà?
Quindi per una ripresa, che “non lasci indietro nessuno” e che valorizzi soprattutto i giovani, uomini e donne. Ci sono due misure, integrative rispetto a quelle previste dal PNRR, che segnerebbero un effettivo cambio di paradigma.
La prima è una decisa riforma della normativa sui tirocini: vanno mantenuti i tirocini curriculari, all’interno di percorsi formativi secondari e terziari ma devono essere ridotti drasticamente i tirocini extracurricolari, riservandoli esclusivamente alle persone disabili od in condizione di svantaggio sociale. Ai giovani va offerto un vero contratto di lavoro, come avviene negli altri paesi europei: e dovrebbe essere il contratto di Apprendistato.
La seconda è lo Jus Culturae. I giovani sono già complessivamente pochi ma, tra loro, la quota dei giovani stranieri (nati in Italia o giunti in Italia) è una percentuale significativa. Nella provincia di Como, il 1° gennaio 2021, i giovani residenti nella fascia di età 0-19 anni erano 105.519; di questi i minori stranieri sono il 10,5%. Non dare la cittadinanza ai minori che compiono un ciclo completo di studi, dalla scuola primaria alle scuole secondarie, non è solo una ingiustizia, è uno spreco enorme di risorse. Nelle “ricostruzione” post Covid non possiamo permettercelo.
Beppe Livio, già presidente provinciale ACLI COMO
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